tag:blogger.com,1999:blog-2765471922105827012024-03-05T17:44:57.035+01:00signorHulotsignor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.comBlogger45125tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-7082508624090839622013-01-13T18:33:00.002+01:002013-01-13T18:33:50.289+01:00Il libro nero dello sciamano: il Copendium di Julian Cope <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCbZlIv80oyyP0aDr3WXcjDsjwfxAJlnHs2VAXK6w5bafSCfT56fuCUykmfWeiSp9LZhNZW7n2Uo4F_TjGUQViUJdBCdxXR62pXLIvWsD19gUPGef3dV4EQsvtM2o14cx_J9i8WVua5i3Y/s1600/20130113_173855.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCbZlIv80oyyP0aDr3WXcjDsjwfxAJlnHs2VAXK6w5bafSCfT56fuCUykmfWeiSp9LZhNZW7n2Uo4F_TjGUQViUJdBCdxXR62pXLIvWsD19gUPGef3dV4EQsvtM2o14cx_J9i8WVua5i3Y/s400/20130113_173855.jpg" width="300" /></a></div>
<br />
Il <i><b><a href="http://www.headheritage.co.uk/merchandiser/item/COPENDIUM1/" target="_blank">Copendium</a></b></i>, l'ultima fatica di <b>Julian Cope</b>, arriva al lettore in una veste formidabile: una mastodontica bibbia pagana rilegata in finta pelle di serpente nera, con 700 pagine gialline, sottili, scritte su due colonne. Un Black Book che chiama a raccolta i cercatori e li invita a raggiungere il folto della foresta per adorare il grande albero rovesciato e contorto del rock & roll: una creatura vivente, piena di ramificazioni schizofeniche, in cui le foglie e le radici si scambiano di posto e proliferano; una tentacolare Cosa lovecraftiana che si espande fino a spezzare il guscio dell'uovo terrestre (e il sottotitolo è <i>An Expedition into the Rock 'n' Roll Underwerld</i>).<br />
Nella narrazione del Druido Julian, che scrive con uno stile visionario a metà tra uno sballato che vive sotto una quercia, un dotto studioso di archeologia e un saggio zoroastriano con deliri di grandezza, si disegnano i contorni di un mondo che non è quello che conosciamo. Un mondo in cui orde di fanatici casinisti elettrici come gli <b>Electric Eels</b> o i <b>Chrome </b>rappresentano davvero l'avvio di un possibile sviluppo alternativo della musica, i riff stoogesiani e le pulsazioni elettromeccaniche di <b>Can </b>e <b>Neu!</b> si sfarinano in una colata di riff ur-punkeggianti, mentre i ronzii di contrabbasso e viola degli svedesi <b>Pärson Sound</b> scalzano i Velvet dal trono dei raga cosmico-iniziatici. Un mondo dove trovano spazio i <b>Sunburned Hand of The Man</b>: un gruppo di fanatici di psichedelia cosmico-ritualistica da taverna che suonano come se avessero deciso di creare un culto basato sull'esecuzione compulsiva di jam session stellari.<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwPvevde9GSgBYXeO_49mEb1F2jU9SRQJL2Eucvb5qKzHzvJydLw-KQ25imvd70jF5zKr3narRf2WKI_B68IMN_ipSFO3EVZTLn76qo9cACX0-gJeNxQqhcvMlA230V_wXjbh3xTFcUKys/s1600/Sunburned+Hand+of+the+Man+Sunburned.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="212" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwPvevde9GSgBYXeO_49mEb1F2jU9SRQJL2Eucvb5qKzHzvJydLw-KQ25imvd70jF5zKr3narRf2WKI_B68IMN_ipSFO3EVZTLn76qo9cACX0-gJeNxQqhcvMlA230V_wXjbh3xTFcUKys/s320/Sunburned+Hand+of+the+Man+Sunburned.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: small; text-align: start;">Sunburned Hand of The Man</span></td></tr>
</tbody></table>
La spedizione a bordo dell'astronave <i>Copendium </i>ci fa viaggiare dagli anni cinquanta alla metà degli anni zero, perché Julian è uno che sa sintonizzarsi anche sui grandi eccentrici della nostra era e l'angelo infuocato della musica visionaria svolazza avanti e indietro lungo il continuum spazio-temporale.<br />
Scorrendo le pagine del <i>Copendium </i>ci si imbatte in momenti di pura poesia, come nel pezzo dedicato a <b>Nico</b>; si inciampa in intuizioni assolutamente folgoranti, come quella sulla difficile coesistenza di due sciamani nei <b>Van Halen</b>; spuntano omaggi a mostri sacri come <b>James Brown</b> e il <b>Miles Davis</b> elettrico. E ci sono anche due incursioni italiche con il primo <b>Battiato </b>e <b>Le Stelle di Mario Schifano</b>, la risposta romana alla factory di Andy Warhol.<br />
Ma non ha senso parlarne troppo: il <i>Copendium </i>(che nasce dalle recensioni mensili apparse sul suo sito <i><a href="http://www.headheritage.co.uk/" target="_blank">Head Heritage</a></i>) è un libro da leggere e assaporare poco a poco, da recitare ad alta voce per far apparire qualche creatura lunare o da buttar giù come un beverone psicotropo trovato in una caverna nel deserto. A volte, come accadeva con i viaggiatori medievali, le descrizioni di quello che Cope ha visto e udito nel corso della sua spedizione sono più belle ancora della musica stessa, altre volte incontriamo rivalutazioni quasi incredibili (il cabaret comico delirante di <b>Lord Buckley</b>) o assemblaggi da scienziato pazzo (una compilation personalissima dei <b>Blue Öyster Cult</b>).<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMv28NN1TxnLirXFbptjWv84YezWR4EeV23ADrI1G7vxlVqA39oQt6rtM5ASggTA9cWzu6RPBXf5sqSUdZ1r6NzXYaVHbR6SLvBtFbg1hXLwYRKzeP32G4LW5rY6ALuyxigGUXmyzPWNOE/s1600/haare.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMv28NN1TxnLirXFbptjWv84YezWR4EeV23ADrI1G7vxlVqA39oQt6rtM5ASggTA9cWzu6RPBXf5sqSUdZ1r6NzXYaVHbR6SLvBtFbg1hXLwYRKzeP32G4LW5rY6ALuyxigGUXmyzPWNOE/s200/haare.jpg" width="198" /></a></div>
Julian Cope ci conduce e ci guida in un labirinto dal centro risonante, un bestiario di creature strane e affascinanti in cui il prog fantascientifico dei <b>Magma </b>incontra il rock & soul testosteronico dei <b>Grand Funk Railroad</b>; i riff ribassati dei <b>Melvins </b>sfociano nelle percussioni kraut e nei tessuti da trance sonora della <b>Vibracathedral Orchestra</b>; il sibilante big bang elettronico degli <b>Haare </b>impatta sul drone & western sepolcrale dei <b>Crow Tongue</b>; le melodie da ballata freakadelica dei <b>Cold Sun</b> o l'assalto sussultorio di basso distorto e drum machine di <b>Thrones </b>si innestano sullo sferragliante punk da garagisti del Midwest dei <b>New Lou Reeds</b> o sugli occultismi metallici di <b>Jex Toth</b>, <b>Ramesses </b>e <b>Orthodox</b>. E tra rock danese, riscoperte glam, trionfi di Detroit e incontri in pub irlandesi, con un contorno di metallari maledetti e musicisti inghiottiti dal maelstrom del rock, questo testo sacro suggerisce la creazione una nuova scienza iniziatica fondata sull'evocazione di suoni transdimensionali.<br />
Per chi vuole effettivamente sentire, oltre che leggere, c'è anche la <b><a href="http://www.amazon.co.uk/Copendium-Julian-Cope-Various/dp/B0098I7TNQ/ref=pd_sim_b_1" target="_blank">compilation su triplice cd</a></b>, per edificare monolitici templi in onore del druido Cope e di queste straordinarie allucinazioni condivise. E allora, siccome l'autentica musica visionaria continua a rinascere dalle ceneri del proprio tempo, alla prossima persona che ci chiederà "Cosa ascolti di nuovo?" potremmo rispondere con aria soddisfatta "<b>Monoshock</b>, <b>VON LMO</b> e<b> Comets on fire</b>!". E quest'estate, al mare, sfoggiare la nostra copia del <i>Copendium</i>, il libro nero del Rock 'n' Roll. E scruteremo l'orizzonte, in attesa che un drakkar venuto dal grande nord – annunciato dal battito della grande pulsazione cosmica – sbarchi sulle spiagge dell'Adriatico.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR4-FouJV6NU6_O17N_sMzqNFfzH1N0v4V6JtEgbssFr_pBncKo_xsnARM6y3llXnf-ySk10NkcNEF5Pn83hKnDRUTtXPIHOthk_k0BczkmdbLFDRtmcn7fX61ZUaN3soDXipitROpvWqp/s1600/Julian-Cope-Copendium_1352626987_crop_300x300.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgR4-FouJV6NU6_O17N_sMzqNFfzH1N0v4V6JtEgbssFr_pBncKo_xsnARM6y3llXnf-ySk10NkcNEF5Pn83hKnDRUTtXPIHOthk_k0BczkmdbLFDRtmcn7fX61ZUaN3soDXipitROpvWqp/s200/Julian-Cope-Copendium_1352626987_crop_300x300.jpg" width="138" /></a><br />
<b><br /></b>
<b>Julian Cope</b>, <b><i>Copendium</i></b><br />
Faber and Faber, London 2012<br />
736 pp.<br />
<br />
<b><a href="http://www.amazon.co.uk/Copendium-Julian-Cope/dp/0571270336/ref=pd_bxgy_m_h__img_y" target="_blank">Amazon</a></b><br />
<br />signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-21532409329344522062012-10-14T16:58:00.000+02:002012-10-14T16:58:56.208+02:00Hauntology, unire i punti<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdnVg0akAzUd3iTjqkVkrARsyiSw8OrzCXwVFr5gKB4mpoFPz_9bZNS19x9u33A7aXQmJO0H4m4RZBOiGfXSH0H3vceyU6CNV1v06-vRBmTaZRAk643Z9ZkB-jSqu03DIZSlcervAAPEWV/s1600/hauntology-500.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdnVg0akAzUd3iTjqkVkrARsyiSw8OrzCXwVFr5gKB4mpoFPz_9bZNS19x9u33A7aXQmJO0H4m4RZBOiGfXSH0H3vceyU6CNV1v06-vRBmTaZRAk643Z9ZkB-jSqu03DIZSlcervAAPEWV/s1600/hauntology-500.jpg" /></a></div>
<br />
Tra i miei non molti meriti di esploratore di paesaggi culturali c'è quello - piccolo ma divertente da ricordare - di essere stato probabilmente uno i primi a parlare di <b>Hauntology</b> in Italia. Dopo aver letto in un'intervista a <b>Simon Reynolds</b> (su <i>Blow Up</i> del maggio '08) un rapido accenno alla cosa, ho iniziato a interessarmene. Approfondendo il tema della hauntology sia dal punto di vista musicale che da quello culturale e concettuale, ho provato a elaborare qualche riflessione, partendo soprattutto dalla forte risonanza personale con certi temi. Nel 2008, con una <a href="http://covatamalefica.blogspot.it/2008/06/hauntology-1-visioni.html" target="_blank">serie di post</a> sulla <b><i>Covata Malefica</i></b> (con l'alias <b>Alunno Proserpio</b>), ho provato a dare una definizione del termine, rintracciando alcuni fili sotterranei che permettessero di capire qualcosa della faccenda. Si trattava di un modo per chiarire soprattutto le cose a me stesso.<br />
Ho pubblicato una versione ampliata di questi testi sul mensile <i>Persone & Conoscenze</i> tra il 2009 e il 2010, in una decina di puntate. Nel tempo ho poi continuato a esplorare il vasto e sfuggente territorio hauntologico, scrivendo un <b><a href="http://covatamalefica.blogspot.it/2010/07/piccolo-dizionario-del-cacciatore-di.html" target="_blank">piccolo dizionario del cacciatore dei fantasmi</a></b> e seguendo, in modo episodico, le declinazioni hauntologiche presenti anche in altre zone culturali (ad esempio in ambito americano, con il cosiddetto <i>hypnagogic pop</i>).<br />
<br />
Non so se si possa dire che la hauntology sia diventata poi un trend pienamente riconoscibile. In Inghilterra si è continuato a produrre musica e altri artefatti culturali direttamente collegati all'ispirazione hauntologica. Alla Hauntology sono stati dedicati eventi e convegni, oltre che un grande numero di post (e alcuni siti). Ma in un senso o nell'altro, ogni volta che mi capita di leggere qualcosa ho l'impressione che di Hauntology si continui a parlare soprattutto in modo indiretto, deviato, attraverso l'attivazione di ondate discorsive e percettive che generano alterazioni concettuali difficili da circoscrivere.<br />
<br />
C'è chi affronta la cosa dal punto di vista filosofico, chi opera attente e puntuali ricognizioni musicali (si vedano gli articoli di <b>Massimo Balducci</b> usciti su <i>Blow Up</i> nel 2010 sotto il titolo "<b>Piccola Hauntologia Scolastica</b>"), chi si lascia trasportare dalla suggestione generata da immagini, prodotti, film connessi a un determinato momento culturale. In attesa che <b>Mark Fisher</b> (alias <b>K Punk</b>, uno dei primi in assoluto a parlarne sul <a href="http://k-punk.abstractdynamics.org/" target="_blank">suo sito</a>) pubblichi quello che potrebbe essere il primo contributo organico al dibattito, il da tempo annunciato <i>Ghosts of my Life</i> (un libro fantasma?).<br />
Possibili punti di emergenza di questo strano continente sotterraneo si possono rintracciare nella miriade di siti dedicati al recupero di frammenti di estetica modernista o di suoni-parole-visioni collegate a un'idea di progresso dell'essere umano raggiungibile attraverso la creazione di percorsi educativi, scolastici e sociali capaci di coniugare il rigore del design e l'espressione della libertà individuale (date un'occhiata ad esempio a quello che c'è in <b><a href="http://toysandtechniques.blogspot.it/" target="_blank">toysandtechinques</a></b>). Oppure si può pensare a quello strano <i>continuum </i>temporale in cui l'architettura brutalista (come quella di Thamesmead, che si vede nella famosa scena in cui Alex picchia i suoi amici drughi in <i>Arancia Meccanica</i>) o le stilizzazioni della grafica anni sessanta e settanta entrano in diretta collisione con immaginari fantascientifici, paranoie ufologiche e revival pagani (ne è un buon esempio <b><a href="http://found0bjects.blogspot.it/" target="_blank">foundobjects</a></b>).<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3vcVQWIcFYCVz9gFWbS49om9K-_nftRvBUlc7S7f38hCvn_CZC7kzT5lsKs62XE_zLS9zzNwh3SPlts7Dthq4R3gNdVKVmZ5r_BlHtfZa-9gBVvoqmQV-jVhWM_D90cZgynapZhU7aE48/s1600/r-878047-1168351163.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3vcVQWIcFYCVz9gFWbS49om9K-_nftRvBUlc7S7f38hCvn_CZC7kzT5lsKs62XE_zLS9zzNwh3SPlts7Dthq4R3gNdVKVmZ5r_BlHtfZa-9gBVvoqmQV-jVhWM_D90cZgynapZhU7aE48/s400/r-878047-1168351163.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
Per dirla in una sola frase, tutto <b>ciò che hanno in comune queste differenti linee di sviluppo è una bizzarra attrazione per una zona temporale in cui modernismo e redenzione sociale, nenie infantili e voci aliene, vetrine di shop vittoriani e utopie socialiste entrano in contatto in un momento particolare, assumendo la consistenza sfumata di fantasmi</b>.<br />
La hauntology è ciò che si genera quando avviene questo contatto. Così può avvenire che un concetto preso da un libro su Marx scritto da un filosofo poststrutturalista diventi una specie di punto di attrazione per appassionati di sintetizzatori analogici, cultori di antichi riti della fertilità, esploratori di spazi urbani in disuso, appassionati di horror soprannaturale e nostalgici della New Jerusalem del dopoguerra. Nella dispersione delle chiavi di lettura, la hauntology continua a sottrarsi a una definizione univoca, eppure la traccia dei suoi passaggi rimane molto evidente, come un elemento di disturbo impresso sugli schermi del nostro presente. Forse è giusto così, perché in fondo sarebbe difficile parlare dei fantasmi come se si parlasse di una cosa qualsiasi.<br />
<br />
Ho comunque deciso di riprendere la questione, pubblicando alcuni testi che ho continuato a scrivere in questi anni, nella convinzione che attraverso l'idea di hauntology e attraverso gli artisti, i musicisti e i teorici che si rifanno ad essa sia possibile capire qualcosa del tempo in cui viviamo. A cominciare dal fatto che <b>il tempo non è mai uno solo</b>, ma una compresenza di linee e strati temporali che continuano a cambiare di posto, costringendoci a muoverci in modo discontinuo. Non si tratta di fare il punto, ma di provare a unire una serie di punti dispersi su piani diversi, per capire che figura ne viene fuori.<br />
<b>Il modo di essere del fantasma non ha a che fare con la presenza, ma con il non esserci del tutto</b>.<br />
[Ottobre 2012]signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-13751028256999993002012-09-27T17:29:00.000+02:002012-09-27T19:19:38.067+02:00Noise e altre amenità. Intervista con Mike Connelly <br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">Al
termine della tre giorni di devastanti live dei Wolf Eyes al
Codalunga, ho chiesto ha Mike Connelly (chitarrista rumoroso,
sperimentatore elettronico e autentico vulcano di idee, oltre che con
i Wolf Eyes, con progetti come Hair Police, Birth Refusal e Failing
lights) se aveva voglia di fare un'intervista a distanza per questo
blog. Qualche giro di mail ed ecco cosa il gentilissimo Mike mi ha
risposto. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">(ps
l'intervista risale ormai a qualche mese fa e i dischi di cui parla
Mike sono già usciti)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><br /></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJz3COq1g_dcMAmvCd2T1Vk4QciDUKQ3u1HPLF7ghxNNjemmkj8zctwgz7mr4wOz4P61hnFAbUqbFP4GBc0ouJ2dfrP_WeELTFjxzUkbpMWa6WDKHsF5A__UrqFXZvGtY8NuFyCMXj7FHp/s1600/connelly624.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJz3COq1g_dcMAmvCd2T1Vk4QciDUKQ3u1HPLF7ghxNNjemmkj8zctwgz7mr4wOz4P61hnFAbUqbFP4GBc0ouJ2dfrP_WeELTFjxzUkbpMWa6WDKHsF5A__UrqFXZvGtY8NuFyCMXj7FHp/s320/connelly624.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<ul><div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Allora Mike, tutto bene con il passaggio italiano? Sei soddisfatto? E come sono andate le tre serate da headliner al Codalunga?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><br /></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
Si, è stato fantastico. Per noi era una sfida fare tre
serate con tre set differenti, dato che immaginavamo di trovarci a
suonare più o meno allo stesso pubblico ogni sera. Sono stato
contento del risultato di tutta la settimana, soprattutto dei set
solisti alla Codalunga gallery.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Quando
ascolto i Wolf Eyes trovo che sia difficile dire se la vostra musica
sia un buco nero sonoro connesso a uno stato d'animo del tutto
depressivo e distruttivo o se sia l'alba di una nuova era di puro
amore raggiunto attraverso il rumore assoluto. Una specie di tempesta
cosmica fuori di testa in cui ci si può perdere e provare sensazioni
postiive. È davvero una delle poche esperienze musicali che mi danno
una specie di vibrazione hippie. Cosa ne pensi, devo rivolgermi a uno
strizzacervelli o c'è qualcosa di vero in quello che mi capita?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
No, penso che sia una reazione normale. Con questo tipo di musica, si
possono suscitare sensazioni di tutti i tipi, anche quelli meno ovvi.
Anche nel mio caso posso dire che "lo stato d'animo distruttivo"
mi riempie di piacere. Anche se nella musica si può cogliere qualche
elemento di tipo depressivo, penso che sia un modo per attraversare la depressione e uscirne indenne. Non credo che sia niente di strano nel
provare gioia o felicità con qualcosa di oscuro e distruttivo. Io,
ad esempio, ho sentito una scossa di puro e assoluto divertimento nel
corso del set degli Inquisition</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Vedendo
dal vivo i WE mi ha colpito una cosa che dai dischi non è facile da
cogliere: la forte natura rituale delle vostre performance. È come
trovarsi nell'occhio del ciclone. I confini tra la pace e la furia
sfumano in una continua alternanza tra silenzio, droni cupi, ronzii
da sciame, urla, riff neri e profondi, e così via. Sul palco
voi tre avete una grande focalizzazione. Un controllo stupefacente
delle dinamiche interne del rumore. La vostra musica è quasi
matematica, in un certo senso. L'idea di un caos controllato pronto a
portare la mente in luoghi strani, pieni di presenze ostili e forme
fluttuanti. Fino a che punto dal vivo le cose sono pianificate e fino
a che punto lasciate semplicemente che il caos si scateni?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
Per i set in Italia l'improvvisazione era davvero ridotta al minimo.
I concerti erano controllati e pianificati... ma sempre fino a un
certo punto. Anche nelle nostre canzoni c'è spazio per fare quello
che più ci piace. Ci sono delle strutture che seguiamo in modo più
stretto ... Nel mio caso può trattarsi di una linea di chitarra o di
un riff... Per Nate, i testi... quindi le cose sono davvero tenute
sotto controllo. D'altro canto, l'anno scorso abbiamo fatto quasi
solo concerti in cui c'erano pochissime cose pianificate e abbiamo
suonato in modo molto più libero di quanto avessimo mai fatto prima.
Dipende semplicemente dal setting, da qual'è la zona nella quale ci
troviamo, tutto qui.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Ascoltando
gli Hair Police, si può cogliere qualcosa di inconfondibile. Sono
più punkeggianti dei Wolf Eyes, una strana combinazione tra noise e
free rock. Quasi come se Captain Beefheart incontrasse i Voivod in un
paesaggio del Midwest. Elettronica deragliata, campane, un furioso
drumming tribale, il basso che si muove sotto. È uno strano
matrimonio tra gli spiriti liberi e fluidi del metal e l'urlo lontano
di una specie di zombie psichedelico senza anima. È diverso suonare
la chitarra con i Wolf Eyes e suonare il basso con gli Hair Police? </i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
Wow, grande descrizione! É davvero molto diverso suonare nell'una e
nell'altra band. A un certo punto ho suonato con entrambe sia la
chitarra che il basso. Ora suono solo la chitarra. Per me, comunque,
si tratta sempre di corde. Uso le corde che mi servono per arrivare a
destinazione, nel luogo verso cui sto andando. In questo periodo sono
sei corde, di quelle più sottili. La differenza principale per me è
che negli Hair Police seguo la parte vocale. Si tratta di una
faccenda molto diversa, un approccio differente. Anche i testi, i
titoli, ecc. Trevor e io di solito lavoriamo sui titoli... per il
nuovo disco tutti i testi sono miei. È molto diverso creare il tuo
mondo ed è l'unica delle mie band in cui questa forma di creazione
la raggiungo attraverso i testi. Sono a un punto in cui mi trovo
tranquillo con l'idea di scrivere dei testi e magari a un certo punto
potrebbero passare anche a un altro progetto.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhV0Z4IUZojGWmjSYXz1B5ckp5Diz9XtXzjWdpo3CYzo5GpqcCWX6bXuMsKTOnpR-5CnsTw10nTDfzRPcEBzkZqhieUooaN5KOWH-WgrlVM8NL7yf-jt7T6CVjeVglthjtSkZMmqvOzSO37/s1600/nofun_btm_3309.jpg"><img align="BOTTOM" border="0" height="240" name="immagini1" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhV0Z4IUZojGWmjSYXz1B5ckp5Diz9XtXzjWdpo3CYzo5GpqcCWX6bXuMsKTOnpR-5CnsTw10nTDfzRPcEBzkZqhieUooaN5KOWH-WgrlVM8NL7yf-jt7T6CVjeVglthjtSkZMmqvOzSO37/s320/nofun_btm_3309.jpg" width="320" /></a></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"> <span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Quando
sarà pronto il nuovo disco degli Hair Police? Sarà diverso da
Certainty of Swarms?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
In realtà è già pronto. Sto finendo l'artwork e poi andremo a
stamparlo. Uscirà per Gods of Tundra. Si intitola <i>Mercurial
Rites</i>. È sempre diverso, ma penso che si tratti di un passaggio
naturale. Siamo molto contenti del risultato. Dal punto di vista dei
testi, è il mio disco preferito... e penso anche che siamo riusciti
a registrare la batteria di Trevor meglio di quanto sia avvenuto nei
dischi precedenti.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Gods
of Tundra è la tua tape label: bel nome, dove l'hai pescato?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
Il nome Gods of Tundra suonava bene, semplicemente. Non faccio uscire
solo cassette, ma anche parecchi LP. In questo momento stiamo
mettendo assieme un LP a una facciata dei Birth Refusal, che si
intitola <i>Current Period of Extinction</i>. Birth Refusal è
il progetto che portiamo avanti assieme io e Olson. Gli LP sono
pronti, rimane solo da dipingere e mettere assieme le copertine.
Dovrebbe essere fuori nel giro di qualche settimana. </span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Puoi
dirmi qualcosa sul tuo progetto solista Faling Lights? Non ho visto
il tuo set a Vittorio Veneto, ma ho sentito dire che è molto diverso
da quello che fai con i Wolf Eyes o gli Hair Police</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRtdZ__rMW50FZJ74OlEijf_L60Dzm-9_EEhPSMWk7VizMPkAQDFUkQiaOImh9ug56CNsykcfThWXJzBTCN0DqW0WT8hWO2uA2-mwZ8TWC670fh7UJgjX4SxSZLjHrHHszJzBUNByOp3Zv/s1600/dek063lp.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img align="BOTTOM" border="0" height="320" name="immagini2" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRtdZ__rMW50FZJ74OlEijf_L60Dzm-9_EEhPSMWk7VizMPkAQDFUkQiaOImh9ug56CNsykcfThWXJzBTCN0DqW0WT8hWO2uA2-mwZ8TWC670fh7UJgjX4SxSZLjHrHHszJzBUNByOp3Zv/s320/dek063lp.jpg" width="320" /></a><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
Non direi che è davvero così diverso. La gente mi dice che è più
tranquillo... Non lo so. Fa tutto parte del mio universo... certe
volte elementi provenienti da tutte e tre le band entrano in
collisione. C'è un nuovo LP di Failing Lights che sta per uscire per
Dekorder. Si intitola <i>Dawn
Undefeated</i>,
sarà fuori molto presto.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>I
Wolf Eyes sono noti anche per essere "I noisers che hanno fatto
due dischi con la Sub Pop". Penso che i WE siano il gruppo più
rumoroso ad essere diventato mainstream (indie mainstream,
ovviamente). Ho anche scoperto che "The Driller" è stata
usata in un episodio di The Office. Com'è stata l'esperienza con la
Sub Pop? Cosa vuol dire per te essere in una delle band faro nella
scena musicale estrema?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;">-
La Sub Pop è stata assolutamente cool con noi ed è stato splendido
lavorare con loro. Penso che aver fatto due dischi con loro sia stato
perfetto. Si, "The Driller" su The Office, è stato davvero
divertente! Ti dirò che non me ne frega un cazzo di essere i più
rumorosi. È una cosa che non ci è mai interessata... I nostri
amplificatori non sono poi così grandi! Le persone ci percepiscono
così e reagiscono così a causa dei suoni che produciamo. Sono molto
più difficili da maneggiare dei suoni che vengono prodotti dalla
maggior parte delle band che suonano a volume alto. E poi, nessuno
può battere i Manowar in questo campo, e allora, fanculo, perché
provarci?!</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>Ultima
domanda: Wolf Eyes, Hair Police e Gods of Tundra hanno in comune
un'attitudine</i> <i>decisamente dark e orrorifica, dai nomi
delle canzoni fino ad arrivare alla cover art. Intendo dire, titoli
come "Lake of Roaches", "Stabbed in the Face" o
"Certainty of Swarms" sarebbero perfetti per un qualche
slasher perduto degli anni ottanta o per la videocassetta semi
cancellata di un film gore-apocalittico. Da dove prendete
l'ispirazione per i titoli delle canzoni e il concept visivo dei
vostri lavori?</i></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: x-small;"><i>- </i>Non
c'è dubbio che personalmente la faccenda dello "slasher perduto
anni ottanta" e della "cassetta semicancellata di un film
gore-apocalittico" sia per me uno dei punti di partenza
fondamentali. Il mio primo progetto solista si chiamava Zombi... e
continuo ad avere <i>Cannibal Holocaust</i> in una versione
bootleg giapponese in vhs e non ho nemmeno mai visto una versione
rimasterizzata. Penso che in questo periodo l'ispirazione mi venga
soprattutto da libri come <i>Delitto e Castigo </i>e film
come <i>Woman in the Dunes</i>. Ma davvero, per me le cose si
mescolano a tutti i livelli. Non distinguo le cose "alte"
da quelle "basse". Tutto opera sullo stesso piano, nel mio
caso. <i>Sleepaway Camp</i>=<i>Rashomon</i>=<i>Sleepaway Camp</i>. </span></span></span></div>
<ul>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
</ul>
<ul>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
</ul>
<br />
</ul>
signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-71777103967240817962012-06-01T11:19:00.001+02:002012-06-01T11:19:53.582+02:00Three Days Of Struggle 2012 - Day Three<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9EQ0h5N5BZH7e3iUP7tuow5BOCw86lF0yF0g5myi-wzfWykGi5Ze7vpHIHnoUR5xKdIP0YQrOyzxq1_2w1c9ZlQo1VtiyXwjSMjDi0YyYPcvXLXo5VmvWPcwuqa-Okmn0zV1nq5Ij4ak8/s1600/vol_ok.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9EQ0h5N5BZH7e3iUP7tuow5BOCw86lF0yF0g5myi-wzfWykGi5Ze7vpHIHnoUR5xKdIP0YQrOyzxq1_2w1c9ZlQo1VtiyXwjSMjDi0YyYPcvXLXo5VmvWPcwuqa-Okmn0zV1nq5Ij4ak8/s640/vol_ok.jpg" width="451" /></a></div>
<br />
Dopo aver dato un po' di pace alle orecchie, decido di andare anche alla terza giornata del <b><a href="http://www.codalunga.org/" target="_blank">Three Days of Struggle</a></b>. Dopo aver visto di cosa sono capaci i <b>Wolf Eyes</b>, sarebbe in effetti un peccato perdere l'occasione di risentirli subito. Nel capannone del <b><a href="http://www.codalunga.org/prima.html" target="_blank">Codalunga</a></b>, tutto è come deve essere: lumini da cimitero, <b>Nico Vascellari</b> che raccoglie i soldi dell'ingresso e timbra a tutto spiano, ampia distesa di dischi, cassette, cd, riviste. Sono spariti i black metaller e il pubblico si assesta su una più classica configurazione di giubbotti sformati e barbe malfatte. Mi sento a casa, se casa fosse una specie di hangar pronto ad assorbire quantitativi spropositati di onde sonore in libertà.<br />
Ad aprire le danze gli <b>Hiroshima Rocks Around</b>, duo batteria sax che si lascia andare a una troppo breve cavalcata free rock assolutamente selvaggia e cubista, con momenti di deriva psichedelica e lancinanti digressioni jazzate.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnPXE9kOozV8f8XAu-p7cBGce79zQAufi_dv6QRfQ8oJpKplVW4UJ3ZZ4ppNnnNScUHR9xll47szOLKkLVoQ7unVkqvZxkmiT8ZDph3JOt7xGIO_lLQJYnK57XXowZ8d1-wLq2eVdABoAh/s1600/squadra_myspace.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnPXE9kOozV8f8XAu-p7cBGce79zQAufi_dv6QRfQ8oJpKplVW4UJ3ZZ4ppNnnNScUHR9xll47szOLKkLVoQ7unVkqvZxkmiT8ZDph3JOt7xGIO_lLQJYnK57XXowZ8d1-wLq2eVdABoAh/s320/squadra_myspace.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
È quindi la volta della <b>Squadra Omega</b>. Doppia batteria, basso e chitarra (non ci sono i fiati che su disco fanno decollare la band verso lontananze astrali) con contorno di tuniche e facce pittate con colori di guerra. La banda di alchimisti messa in piedi tra l'altro da Matt Bordin dei Mojomatics promette davvero bene. Il set viene sorretto dal rombante drumming, consigliatissimo per indurre alterazioni percettive, sul quale la chitarra si apre in rasoiate che fanno pensare a una versione depurata dei Can. L'atmosfera è fieramente krauta, con battiti metronomici e cavalcate automobilistiche degne dei Neu! e la potenza del gruppo si sposa a una chiara vocazione ad evocare presenze inquietanti. È come se i compagni di Baal (se non conoscete la serie anni '70 andate subito a cercarla) si fossero dati alla musica tribale, e in un laboratorio alchemico costruito nel fianco di una montagna si stessero dedicando alla creazione di lunghe suite sonore con lo scopo di ipnotizzare le coscienze e conquistare il mondo. Sarà per i costumi di scena, ma mi sono venuti in mente i folli Magma, se dalla Francia avessero deciso di spostarsi in Italia per mettere in musica qualche horror di Antonio Martino o Aldo Lado. Tra il tunnel cosmico di <i>Hallogallo </i>e una vena di pesante psichedelia apocalittica degna dei Boris, la Squadra Omega si abbandona a rituali da soundtrack di film di serie B, in attesa che qualcuno li segnali a Julian Cope o a Tarantino.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiGebShhpM10N57hzZMTqb-cAVcIsBypX9Laf6ZerBD-Sg7ZXgPiL2w9AkvHx5ZxowctCM6EQtdaVH7GTPdE45hJSnXITfCZ0-ZfGcSvjxirSXjzRGZtQMXsP0qf68Qpl32-_S7-6OPiBE/s1600/wolfeyes.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiGebShhpM10N57hzZMTqb-cAVcIsBypX9Laf6ZerBD-Sg7ZXgPiL2w9AkvHx5ZxowctCM6EQtdaVH7GTPdE45hJSnXITfCZ0-ZfGcSvjxirSXjzRGZtQMXsP0qf68Qpl32-_S7-6OPiBE/s400/wolfeyes.jpg" width="345" /></a></div>
<br />
Quando i <b>Wolf Eyes</b> hanno iniziato il loro concerto nel giorno tre del <b>Three Days of Struggle</b>, sapevo cosa aspettarmi, dato che li avevo visti due sere prima. Ma il tono oggi è ben diverso: meno furia rumorista, a mio parere, e maggiore calibratura delle atmosfere. L'introduzione è un lungo drone macerato nelle interferenze di una gigantesca radio fuori sintonia. L'atmosfera è sospesa e solo guardando l'orologio mi rendo conto che il tempo passa. Lo sfasamento della percezione spaziotemporale è per me il segnale che sta succedendo qualcosa di interessante.<br />
Poi, mentre si materializzano gli ormai classici battiti da srotolamento delle budella, ci si prepara all'arrivo della furia. John Olson è al sax e ripete un motivetto gracchiante, alzando la tensione mentre Mike Connelly, che sfoggia una favolosa felpa dei Rhapsody, accompagna con la testa le schitarrate sempre più pesanti. Il suono sale, e si sgrana in una dilatazione che sta tra le catacombe black metal, gli spazi aperti del dub e le sperimentazioni free jazz più astrali, per sospendere ancora per un attimo l'assalto. E l'assalto arriva, alla fine, quando Nate Young inizia ad urlare, liberando tutte le correnti energetiche fino ad allora trattenute e canalizzandole, sotto forma di ondate di mteallo vibrante, nel corpo degli ascoltatori. Di questo ci si accorge che: il suono è vibrazione e onda oscillante, e con questo tipo di musica tutto il corpo si converte in orecchio.<br />
Sono pure partiture astratte dipinte su schermi bianchi che vengono via via graffiati, forati, ripiegati, aggrovigliati, bruciati come vecchie pellicole che si consumano nel momento stesso in cui vengono esposte alla luce. Poi arrivano altri rallentamenti, un uso sapiente dei vuoti, che cullano le scariche free noise in un gioco di abbracci e strappi successivi. Nella nebbia acida si distingue qualcosa che potrebbe essere <i>Stabbed in the Face</i>: nel nero echeggia un suono ultrabasso che costringe a sbattere la testa; viene poi doppiato da una chitarra che ricapitola i riff catacombali del death metal e li consegna alle decomposizioni del rumore più feroce. Non si capisce bene se i Wolf Eyes siano dei fini avanaguardisti travestiti da rozzi metallari o viceversa.<br />
Quando si arriva all'ultimo pezzo, il rituale cosmico prende l'aspetto di una combinazione tra battiti elettronici, stridii lancinanti, crepitii da circuito mal saldato. E la carica a testa bassa è una centrifuga di rumore puro e libero sparata addosso, un colpo di vento in faccia. Con un'apoteosi di trent'anni di suono, convocando Throbbing Gristle, Slayer, Anthony Braxton e Black Flag, incredibilmente i Wolf Eyes potrebbero mettere d'accordo tutti, da Lester Bangs a Simon Reynolds, dagli improvvisatori con la barba ai nerd in cameretta, sul senso di continuare a suonare, nel 2012, musica del genere.<br />
<br />
Me ne vado con le orecchie ancora doloranti e con la sensazione di aver assistito a qualcosa di memorabile... Riprendo la strada, c'è un po' di pioggia, le montagne in lontananza sono masse scure che incombono e scorrono sul parabrezza. Sono immobili e indifferenti. Sfacciatamente belle, come i suoni che hanno abitato questa strana notte.<br />
<br />
Se vuoi leggere il rapporto dalla prima giornata del <b>TDOS</b>, clicca <b><a href="http://signorhulot.blogspot.it/2012/05/three-days-of-struggle-2012-day-one.html" target="_blank">QUI</a></b><br />signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-61538015631146941722012-05-28T10:44:00.001+02:002012-05-28T10:49:41.379+02:00COSMOPOLIS: la mistica del cybercapitale<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiv2AqNNHg4yXMjorzT8avjE3e8O9zCLK_KdFm3uBp_wnkTwcF9EcJrIFbwB9EFJO0yj3qRzqtx2UXTrVjnobp2KgTBjr8Wq1YPw7gkUZQvsK9wHHYxtO5yY-k6ClU1odnd2CHzaEWbhxQo/s1600/cosmopolis-cronenberg.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="508" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiv2AqNNHg4yXMjorzT8avjE3e8O9zCLK_KdFm3uBp_wnkTwcF9EcJrIFbwB9EFJO0yj3qRzqtx2UXTrVjnobp2KgTBjr8Wq1YPw7gkUZQvsK9wHHYxtO5yY-k6ClU1odnd2CHzaEWbhxQo/s640/cosmopolis-cronenberg.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<i>Nel 2003, quando il libro uscì in Italia, scrissi questa recensione. In questi giorni, nelle sale, c'è il film di Cronenberg, per cui ho deciso di riproporla</i>.<br />
<br />
La situazione è stabile. La parola stabile non significa più niente, la situazione non esiste più. Eric Packer è un miliardario, un surfista che corre su onde di instabilità. Il denso mare ondulatorio è interrotto solo dall’apparente realtà degli oggetti. Oggetti troppo concreti per avere ancora un senso nel suo mondo. Pistole, telefoni, automobili. Packer vive in un utero immateriale, scomposto, scomponibile. Numeri, parole, informazioni. Tutto può essere ridotto ad entità discrete, scomposte, scomponibili. Esistono solo le unità, depurate e fluttuanti, atomi infinitamente ricombinabili. Packer ama la fisica e la poesia. File di lettere sulla pagina bianca, alternanza ritmica di pieni e vuoti, la sua casa di quarantotto stanze ha pareti costellate di tele coperte da ampie campiture di colore. Solide, monotone, già vecchie. Packer preferisce il vecchio al nuovo, perché il vecchio ha perso ogni illusione di significare oltre se stesso. Packer sa che solo ciò che fluttua instabile ha ancora un senso. Il senso è il ritmo dei numeri che si contraggono e si espandono. Numeri che solo lui può decifrare. Packer vive tra fluttuazioni monetarie, lo Yen sale senza fermarsi. Imprevedibile, e lui lo ha previsto.<br />
<br />
Nella sua limousine bianca, inapparente e impossibile da distinguere da tutte le altre, Packer filtra informazioni, ostinato radar umano che si contrae e si espande. Dietro il suo autista, scivolando lungo le strade di New York, Packer è l’uomo comune, senza qualità, senza caratteristiche che lo distinguano da tutto quello che lo circonda. È solo una pioggia di unità infinitesime che giocano a disporsi in costellazioni provvisorie. Packer accoglie tutti nella sua limousine bianca, è il suo ufficio. La parola ufficio non significa più nulla, ha perso ogni saturazione. Non è più il tempo del digitale, del tattile, del palmare. Il futuro è il tempo della voce, dei colori in espansione. Packer ha in casa tele di Rothko, non le migliori. Macchie in espansione. Niente figure, niente spessori: solo superfici piatte che respirano, polmoni a saturazione cromatica. “Ogni attacco ai confini della percezione sembra imprudente, all’inizio”. Scommettere sulle fluttuazioni del mercato valutario è un attacco ai confini della percezione. Il mercato respira nell’atmosfera satura e densa creata dall’incontro tra tecnologia e capitale.<br />
<br />
Il mercato fluttua in piogge di numeri che si dispongono in diagrammi. Formano figure organiche, riscrivono il codice della vita, simulano creazioni e distruzioni di mondi. Conchiglie, frattali, ali d’uccello, ossa cave che spingono verso l’alto. Anche Packer vuole salire, farsi risucchiare verso l’alto dalle ossa cave del mercato, come un uccello mitologico. Nella limousine bianca, mentre sugli schermi al plasma scorrono indici e flussi numerici, Packer parla con il suo analista valutario, con la guardia del corpo, con la moglie, con il medico. Le intrusioni della realtà alterano appena l’equilibrio della sua sfera di attenzione. Mentre New York scorre, appena percepibile, accanto alla limousine, Packer si interroga sui rari segni che sembrano staccarsi con più forza dalla superficie delle cose reclamando un supplemento di attenzione. I modelli standard non consentono più di leggere la complessità crescente del mercato: solo le eccezioni sono degne di nota. Le asimmetrie alterano lo sfondo compatto della città per offrire la chiave di accesso alle leggi della biosfera finanziaria: un silenzio da interpretare, un’irregolarità alla prostata, una diminuzione dei consumi, l’oscura minaccia di un attentato, il funerale del rapper sufi Brutha Fez. Il traffico si infittisce, si blocca, ebrei cassidici ripetono contrattazioni millenarie, forme obsolete di circolazione del denaro, ancora troppo concrete, che non significano più nulla per il futuro. Packer cerca l’immateriale, l’unità intangibile, la legge dello scambio e dei rapporti tra le persone. L’unico modo per arrivare alla legge generale è restare aggrappato ai particolari: piccole incrinature che affiorano e scompongono la superficie omogenea del futuro.<br />
<br />
Per un giorno intero Eric Packer viaggia attraverso questi flussi di eventi depurati, li traduce in cifre e in curve di prevedibilità, confronta sistemi infinitamente distanti, rintraccia regolarità e scommette sull’instabilità caotica e sempre identica dei desideri umani. Il suo sogno è la cancellazione di sé. Vuole fondersi con diagrammi e onde finanziarie, per ricongiungersi alla figura originaria che regola la nascita delle forme organiche e la struttura catastrofica dei mercati. Il cybercapitale produce il tempo, crea il futuro, spinge il presente oltre se stesso polverizzandolo in unità di misura inconcepibili dalla mente umana. Packer cerca di sintonizzare il battito cardiaco su questo tempo ondulatorio, vuole afferrane le leggi, è disposto a pagarne il prezzo: l’esaurimento del proprio tempo fisico, la realizzazione della minaccia. La vita contratta in un punto, bruciata in un giorno radioso al sole dei mercati finanziari. In <i>Cosmopolis </i>Don DeLillo, dopo aver braccato da vicino la complessità esplosa del reale (<i>Rumore Bianco</i>, <i>Underworld</i>), segue la via opposta: restringere il quadro, levigare la pagina, scrivere sotto vuoto, condensare il mondo per farlo entrare in una limousine bianca che corre tra le torri di vetro di New York, città cosmo.<br />
<br />
<br />
<div style="border-bottom: 1px solid #cfcfcf; border-top: 1px solid #cfcfcf; min-height: 130px; padding: 10px 0 10px 0; width: 100%;">
<a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/don-delillo/cosmopolis/978880616466" style="display: block; float: left;" target="_blank" title="Vai alla scheda libro"><img src="http://www.einaudi.it/media/img/978880616466PIC.jpg" style="border: 0;" /></a>
<br />
<div style="color: black; font-family: Arial, Helvetica, Verdana, sans-serif; font-size: 11px; padding-left: 100px;">
<a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/don-delillo/cosmopolis/978880616466" style="color: black; display: block; padding-bottom: 20px; text-decoration: none;" target="_blank" title="Vai alla scheda libro">
<b style="color: #c70702;">Cosmopolis</b><br />
<b>Don DeLillo</b><br /><br />
<b style="color: #8a8a8b;">2003</b><br />
Supercoralli<br />
pp. 184<br />
€ 16,00<br />
ISBN 978880616466
<br />disponibile anche in e-book</a>
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</div>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-83052096273991091632012-05-23T15:14:00.001+02:002012-05-23T15:33:45.158+02:00Three Days Of Struggle 2012 - Day One<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDfuTmzVi4rYNVkzw8KsABZY8C0fbSlOupCA7-saRw7c8PhocixQszaNrq2p-z365tsm4VdaTjyVFaDPQMQVtlDxR3-KzCW4ACmpcsFnYWgBezeVUstBdi2LsmTz1ukpFyUNg11cSLDBrq/s1600/TDOS5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDfuTmzVi4rYNVkzw8KsABZY8C0fbSlOupCA7-saRw7c8PhocixQszaNrq2p-z365tsm4VdaTjyVFaDPQMQVtlDxR3-KzCW4ACmpcsFnYWgBezeVUstBdi2LsmTz1ukpFyUNg11cSLDBrq/s640/TDOS5.jpg" width="425" /></a></div>
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Nel progressivo assottigliarsi dei confini tra ciò che è mainstream e ciò che rimane ai margini, nella proliferazione di micronicchie che forniscono a ciascuno il suo, il concetto di festival perde sempre più di senso. Intendo dire: è ancora possibile andare a un evento musicale con il gusto di lasciarsi sorprendere, di ricevere sensazioni che non siano già tutte raccolte nel dosaggio consapevole e studiato degli ingredienti? Le giornate di lotta di Vittorio Veneto danno in questo senso ancora un po' di speranza perché, fondamentalmente, durante questa rassegna può succedere qualsiasi cosa. Giunto alla quinta edizione, il <b><a href="http://www.codalunga.org/TDOS/comunicato.pdf" target="_blank">Three Days of Struggle</a></b> ha radunato negli anni la crème della musica inclassificabile, chiamando personaggi del calibro di Ghedalia Tazartès, Burial Hex, Sissy Spacek, Giuseppe Ielasi, Renato Rinaldi, Charlemagne Palestine, solo per ricordare qualche nome. Quest'anno, edizione in grande spolvero, con l'incredibile decisione di avere come headliner i <b>Wolf Eyes</b> per tutte e tre le serate. Il che vuol dire che nella geografia della musica "out there" Vittorio Veneto è il posto in cui vale la pena essere.<br />
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Parto la prima sera per raggiungere la ridente cittadina alle pendici delle Dolomiti, sapendo che senza dubbio mi perderò. E così difatti accade, con memorabili giri in tondo per la zona industriale, tra spettrali capannoni e vie che richiamano le vittime dei lager, i morti sul lavoro, i martiri di qua, i martiri di là. Ci mancano solo i sepolti vivi e l'atmosfera è compiuta. Lo spazio del <b><a href="http://www.codalunga.org/prima.html" target="_blank">Codalunga</a> </b>è segnalato da una fila di lumini cimiteriali e la presenza abbondante di black metallers dalla lunga criniera corvina e il volto truce fanno pensare che i colombiani Inquisition abbiano richiamato nere folle adoranti da buona parte del trevigiano e del bellunese. Ma andiamo con ordine. Aprono gli <b>Opium Child</b>, duo elettronico che gravita attorno alla rivista supercool di arte e amenità <i>Neromagazine</i>. Elettronica con buona dose di ronzii cosmici, bassi rombanti che arrivano a far decollare la coscienza, disturbi di vario genere. Direi che sono una versione sfrontata e italica degli Emeralds, che riescono a tener alto il gonfalone dei synth analogici e della via mediterranea ai suoni ipnagogici. Sale poi sul palco <b>Lorenzo Senni</b>, con ciuffo sugli occhi, scatenando piogge di beat ripetitivi e metallici che mi fanno pensare a un matrimonio contronatura tra l'elettronica da ballare e la cold wave anni ottanta. Immersi in alienanti pulsazioni da film apocalittico e con la tentazione di battere il proverbiale piedino, si notano le prime facce perplesse dei fan degli <b>Inquisition</b> che sembran dire "ma che ci faccio qui?"<br />
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Vengono poi, appunto, gli dei del caos colombiani. Sono in due, con face-painting di prammatica. Black Metal duro e puro, crudissimo, con un lavoro spaventoso del batterista e la voce da ranocchio malvagio del cantante che troneggia sulla melma. Il suono è decisamente pessimo, ma questo rende ancora più interessante il tutto perché, depurato dalle sue tentazioni sinfoniche e amputato delle melodie infette, il Black Metal si riconnette alla propria origine. Dai primissimi Mayhem si risale al Bathory punkeggiante del primo album, si ritrovano i Motorhead e, sotto le facce imbiancate, si odono i gloriosi rombi hardcore. Buono sfoggio di corna e invocazioni a Satana; i fan pogano con moderazione e (perfezionisti come tutti i metallari) si lamentano per il suono, ma il capannone del Codalunga è caldo al punto giusto. Al punto giusto per cosa?<br />
Ovviamente per gli headliner della serata (serata mica tanto, visto che siamo già quasi alle due di mattina ...).<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxjQS_nraIbEZdklOdthrKcZDtfWrjVHWLkDrOUEjPDd1QqhQNXcoJUcrOQuDlxVBwOiz2CV87iflY3hHRLL1jAVnGs8f8eeSlqqOzGYy9OkrGYenvDMeX3R7lRu9h88ZYjqZ3y3bigMJS/s1600/we.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxjQS_nraIbEZdklOdthrKcZDtfWrjVHWLkDrOUEjPDd1QqhQNXcoJUcrOQuDlxVBwOiz2CV87iflY3hHRLL1jAVnGs8f8eeSlqqOzGYy9OkrGYenvDMeX3R7lRu9h88ZYjqZ3y3bigMJS/s400/we.JPG" width="400" /></a></div>
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Dopo gli Inquisition arrivano infatti i Wolf Eyes e, al di là delle preferenze per un genere o per l'altro, si ha la sensazione di vedere all'opera dei maestri indiscutibili. I tre del Michigan sono noti per alcune cose. Hanno fatto uscire un paio di dischi per la Sub Pop, hanno suonato con il jazzista di avanguardia Anthony Braxton, sono uno dei gruppi noise più famosi al mondo. Il che, tradotto, vuol dire che ci sono a sentirli non più di trenta o quaranta persone...<br />
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I Wolf Eyes sono in tre: John Olson è grosso e con pochi capelli, ha un giubbottino di jeans corto e faccia da ragazzone americano, al punto che si teme abbia disertato dalla base di Aviano per venire a far caciara da queste parti. Mike Connelly è scuro, sorridente, con l'aria un po' adrenalinica di certi personaggi alla Tarantino. Nate Young è uno spilungone barbuto e silenzioso, come si addice al tipico frontman carismatico. Sono stati seduti buoni buoni al banchetto del merchandise, si sono ogni tanto alzati per andare a sentire gli altri musicisti. Ora tocca a loro.<br />
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Attaccano. I ricordi son confusi, ma John Olson martella una specie di lungo bastone attrezzato a mò di basso moto-zappa, mentre con una mano armeggia su macchine che lanciano battiti ultraprofondi in grado di smuovere gli organi interni. Il tutto tra lancinanti sfrigolature elettriche, come se una gigantesca bistecca fosse messa su un barbecue e il tutto fosse amplificato. Con la variabile vagamente burroughsiana che la bistecca è, per qualche misteriosa ragione, viva. Dall'altra parte Mike Connelly stringe tra le braccia una chitarra e, liberato da qualsiasi necessità di dare un corpo melodico al tutto, si abbandona a orge di feedback e a potentissimi fendenti metallici, andando ogni tanto a girare manopole malvage direttamente connesse ai centri per la sordità. Nate Young, invece, urla nel microfono e dalla gola gli escono suoni che, effettati e filtrati, diventano strati abrasivi che grattano via la pelle. Anche lui di tanto in tanto ficca le dita in scatole elettriche cavandone fuori variazioni sul tema "rumore bianco e fischi nelle orecchie".<br />
Il volume è assordante, ma quello che mi colpisce è che si tratta di una musica assolutamente nitida, fatta di strati che si separano e si mescolano, per staccarsi poi di nuovo. Esiste una geometria all'opera, in questo esercizio nell'esaperazione delle forme. E i Wolf Eyes, dal vivo ancora più che su disco, si propongono come l'incarnazione definitiva di un certo tipo di suono del Michigan: gli Stooges senza melodia, con tutti i rumori prodotti dai fratelli Asheton condensati e risparati fuori dagli amplificatori. Poco più di mezz'ora di musica, credo, con l'impressione di trovarsi di fronte a un'evocazione di tutto quello che è (ed è stata) la musica estrema. Elettronica industriale, harsh noise, assalti death metal, attitudine hardcore, sibili psichedelici, avanguardismi no wave, trip sciamanici. Risalendo alla radice tribale del rock stesso. Tutto immerso nella forza solenne di un rituale sonoro profano. Esco piuttosto sconvolto, perché, devo dire, non mi aspettavo tale potenza e tale presenza. Dentro di me si deposita l'idea di tornare a vederli in una delle altre serate...signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-33834533970297094292012-04-19T20:32:00.000+02:002012-04-19T20:32:15.383+02:00Hype Williams, nella nebbia e nel suono<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvsh2IQUbb86GnkjUnu9FsUzNdt-ZXrxgVirGZe_MPYBrYZxbU3B4fC-FbAFIGDShkqaLxMnIScvYLqkXCPrxcKEqRlc13EfcC5M1F4kYRtG2uHlwUdn7PMk5Tbr0Xv82nab5rq0zYpjq8/s1600/hypewilliams_web1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvsh2IQUbb86GnkjUnu9FsUzNdt-ZXrxgVirGZe_MPYBrYZxbU3B4fC-FbAFIGDShkqaLxMnIScvYLqkXCPrxcKEqRlc13EfcC5M1F4kYRtG2uHlwUdn7PMk5Tbr0Xv82nab5rq0zYpjq8/s400/hypewilliams_web1.jpg" width="400" /></a></div><br />
<b>Hype Williams</b> è un celebre regista di videoclip, ma anche un duo formato da Dean Blunt e Inga Copeland. Inga Copeland si chiama anche Karen Glass, o è il contrario. Gli Hype Williams vivono tra Londra e Berlino. Fanno una musica piena di nebbia. A Udine c'era la nebbia, l'anno scorso. Non fuori, la nebbia era dentro il <b><a href="http://www.casaupa.blogspot.it/">Cas*aupa</a></b>. Una nebbiolina colorata che lasciava intravedere solo qualche lampo di luce. Stavamo stravaccati sul divano in mezzo alla nebbia viola, con la musica degli Hype Williams che entrava e usciva dalle orecchie.<br />
Ora Hybrida ha fatto uscire la <a href="http://www.hybridaspace.org/2012/04/03/hype-williams-13-04-2011/">registrazione</a> di quella serata. Musica narcotica, pigre apparizioni elettroniche, synth antiquati, sequenze di suono interrotte da sirene lontane, pezzi di voci che appaiono e scompaiono. Dub passato attraverso tutti i suoni degli ultimi trent'anni, scomposizioni e spostamenti percettivi, musica protoindustriale, hauntology e hypnagogic pop, noise morbidissimo. Throbbing Gristle e Oneohtrix Point Never stesi a dormire in una caverna di velluto con cassette di pop anni ottanta fatte girare su vecchi stereo. Preset di tastierine giocattolo che risuonano in paesaggi scuri da film di Carpenter, con Sade che canta sullo sfondo. Tessiture ambientali fatte d'acqua che scivolano in mezzo a ultrabassi dubstep, senza alcuna possibilità di identificare cosa viene prima e cosa dopo, perché la storia che raccontano gli Hype Williams è perfettamente orizzontale. Tutto nello stesso tempo. La loro nebbia ipnotica mira al rallentamento della coscienza, attraverso esperimenti fatti sul fantasma psichico del pop e dell'elettronica. La traccia registrata di quella nebbia e di quei suoni mi permette di rientrare nel ricordo della serata udinese. Il futuro è una musica già sentita, infinitamente distante, sussurrata nell'orecchio mentre dormi.<br />
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<b>Hype Williams – 13 04 2011 <i>Live a Udine</i></b><br />
99 copie numerate<br />
<a href="http://www.hybridaspace.org/">www.hybridaspace.org</a><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="356" src="http://www.youtube.com/embed/ef1w8QF5LaU?rel=0" width="475"></iframe><br />
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</b>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-61588850706902501532012-03-07T08:37:00.000+01:002012-03-07T08:37:24.710+01:00Ricordo sotto forma di lipogramma<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiC5pumflLvcBin32u4J8tayTGyzowWs4GCmNyyUKHmJSkyFftsywkDWfKvNErxdxbpNweIj1KTmBSOgWVxUuwJfkJD5meCq6O5T1qgPsfsD3lLsNvw0cA3XOrxo6HCowiHoRd93s4YMa2V/s1600/perec-Fora1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiC5pumflLvcBin32u4J8tayTGyzowWs4GCmNyyUKHmJSkyFftsywkDWfKvNErxdxbpNweIj1KTmBSOgWVxUuwJfkJD5meCq6O5T1qgPsfsD3lLsNvw0cA3XOrxo6HCowiHoRd93s4YMa2V/s400/perec-Fora1.jpg" width="332" /></a></div><br />
Giorgio P. ha scritto <i>La scomparsa</i>, istruito a usar la vita, fatto la mappa di vari spazi (fra cui un'isola in Patagonia chiamata W), raccontando chi o cosa li abitava.<br />
Ha raccolto i suoi ricordi, scritto la storia di un quadro, catalogato moltissimi libri sul lancio di pomodori in faccia a cantanti. Insomma, ha giocato con la scrittura, ma ogni suo gioco ha raccontato il vuoto in fondo alla vita.<br />
Mi ricordo poi una sua foto famosa, con la barba da matto, il cardigan di lana grossa, un gatto in spalla.signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-61941361834575210652011-12-12T10:14:00.001+01:002011-12-12T10:15:32.689+01:00Ian Dury, il punk cockney<div style="margin-bottom: 0cm;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://paulseaman.eu/wp-content/uploads/2010/01/Ian-Dury-London-19842.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="398" src="http://paulseaman.eu/wp-content/uploads/2010/01/Ian-Dury-London-19842.jpg" width="400" /></a></div>Direi che tutti, o quasi, abbiamo citato il titolo di una canzone di <b>Ian Dury</b>, probabilmente senza saperlo. <i>Sex & Drugs & Rock & Roll</i>, lo slogan che sintetizza nel bene e nel male tutta un'estetica e uno stile di vita, è infatti il titolo di una hit del 1977 suonata da Dury con la sua band, i <b>Blockheads</b>, le teste dure. Dury era nato nel 1942 a Harrow, nella periferia di Londra, e se l'era ben presto vista brutta. Non tanto per i bombardamenti e le difficoltà del periodo bellico o per i razionamenti imposti dalla famigerata austerity degli anni successivi. Il fatto è che a sette anni Ian si becca la poliomielite, come capitava ancora all'epoca a molti bambini, e la malattia lo lascerà menomato e zoppicante per il resto della vita. Ian Dury, figlio di un'autista di Rolls Royce e di un'infermiera, inizia così la trasformazione che lo porterà a diventare il cantore ironico e appassionato di una fauna urbana losca e sessualmente iperattiva, un sottobosco assolutamente londinese cantato con un esageratissimo accento cockney e con rime criptiche e geniali.</div><div style="margin-bottom: 0cm;">Ian Dury lo storpio è uno di loro, una creatura notturna sempre pronta a ficcarsi in un'avventura sessuale o a raccontare qualche storiella piena di doppisensi e modi di dire. Ian Dury, stimolato dai lavori di artigianato svolti alla scuola per disabili in cui rimane per alcuni anni, decide poi di seguire il proprio impulso artistico entrando in una scuola d'arte e infine iscrivendosi al prestigioso Royal College of Art. </div><div style="margin-bottom: 0cm;"><a href="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=276547192210582701&postID=6194136183457521065" name="Kilburn_.26_the_High_Roads"></a> Ma il suo temperamento eccessivo e provocatorio, in bilico tra frustrazione per il proprio stato, senso di rivalsa, e spirito dissacratore, lo porta a provare la carriera musicale. Anche se, all'inizio, carriera è una parola grossa. Con una ciurma di spostati degni di lui, i Kilburn & The High Road, inizia una lunga e frustante trafila fatta di concerti in bettole di ogni genere, conditi dall'ostilità del pubblico e da pochi penny in tasca. Poi, alla metà degli anni settanta, cambia qualcosa. Il fatto è che è arrivato il punk, e questa, per un cantore della working class con una particolare propensione a parlare di sesso e di avventure al limite della legalità, è decisamente una buona notizia. Ian forma i Blockheads, si fa rappresentare dal management dei Pink Floyd ed esplode. I successi cominciano ad arrivare, con canzoni come <i>Billericay Dickie</i> (che inizia con l'immortale battuta “Sono dell'Essex, nel caso non ve ne siate accorti”) e <i>Wake up and Make Love to Me</i>. E poi, naturalmente, <i>Sex & Drugs & Rock & Roll</i>, che magari non segna proprio la prima apparizione della formula (pare fosse già un modo di dire in uso), ma sicuramente rappresenta la codificazione di una frase destinata a diventare un luogo comune talmente diffuso da aver fatto dimenticare il suo autore. </div><div style="margin-bottom: 0cm;">Anche se in Inghilterra Ian Dury non se lo sono dimenticati affatto. La fine degli anni '70 è il momento di massimo successo per lui e per i Blockheads, con una sfilza di canzoni nella Top Ten, da<i> Hit Me With Your Rhythm Stick </i>al proto rap di <i>Reasons to be Cheerful</i> (nemmeno tanto proto, sentire per credere), e con la fama di essere il punk più amato dalle mamme. Certo la musica di Dury non assomiglia granché a quella di Sex Pistols e Clash, semmai lo si potrebbe considerare una versione pervertita e laida di Elvis Costello, un teppista cockney che adora giocare con le parole, un poeta derelitto che viaggia in un mondo su cui non splende mai il sole e la cui unica consolazione è data da accoppiamenti sudaticci e da un pugno di anfetamine. La musica di Dury è un misto di funky, rock 'n' roll classico (dopotutto una sua canzone si chiama <i>Sweet Gene Vincent</i>), riff da pub, reggae (<i>Clevor Trever</i>), rumorismi da fiera di quartiere. Il tutto cantato con uno spirito direttamente derivato dalla grande tradizione del music-hall inglese. Anche se non mancano gli assalti a testa bassa, realmente punk, come l'inno <i>Blockheads</i> e la furibonda <i>Blackmail Man</i>. </div><div style="margin-bottom: 0cm;">Per capire il personaggio, un ultimo aneddoto. Negli anni '80, gli viene chiesta una canzone per l'anno del disabile dell'ONU. Ian, che da tempo ormai faceva attività benefica e di animazione con i bambini handicappati, scrive la canzone più scorretta possibile, per sbeffeggiare il buonismo da lavacoscienze dell'iniziativa. Il titolo? <i>Spasticus Autisticus</i>. E la canzone è proprio quello che sembra ovvero la rivincita degli spastici, novelli Spartacus (queste erano le geniali rime di Dury) in rivolta contro i “normali”, che fanno l'elemosina agli storpi e ringraziano ogni giorno Dio di non essere come loro. Naturalmente, la BBC bandì la canzone. </div><div style="margin-bottom: 0cm;">Ian è morto nel 2000 e molti lo ricordano come una figura decisiva nella cultura pop britannica (non ultimo Simon Reynolds). Chi volesse conoscerlo da vicino, il poeta cockney con la stampella e la faccia truccata, lo storpio sexy, il punk da music hall, il cantore antirazzista dei bassifondi di Londra abitati da storpi irlandesi, ebreo-scozzesi e greco-pakistani, il frequentatore di pub dell'East Side che prende in giro Noel Coward, può recuperare il bel <a href="http://www.imdb.com/title/tt1393020/">biopic</a> dell'anno scorso di Mat Whitecross, con Andy Serkis nella parte di Ian. Il titolo, manco a dirlo, è <i>Sex & Drugs & Rock & Roll.</i><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="412" src="http://www.youtube.com/embed/_bB9h8IFovw" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="412" src="http://www.youtube.com/embed/0nI8L_kiXz0" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="412" src="http://www.youtube.com/embed/6isXNVdguI8" width="550"></iframe>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-67572523372061450642011-11-30T13:49:00.000+01:002011-11-30T13:49:48.927+01:00Iper-stasi, ovvero scolpire il tempo immobile<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://www.artfromcode.com/wp-content/uploads/2008/11/space_time_04.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="http://www.artfromcode.com/wp-content/uploads/2008/11/space_time_04.png" width="400" /></a></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;">Ed ecco l'<b>iper-stasi</b>. Per molto tempo la cultura si è mossa con lentezza pachidermica. Le novità del pop arrivavano a passi lunghi, con la placida temporalità dilatata degli spostamenti tettonici. L'attualità cambiava lentamente, il ciclo del mutamento era lungo. Le traiettorie del pop non potevano essere osservate a occhio nudo perché, semplicemente, i loro spostamenti erano troppo lenti e regolari per essere colti in presa diretta. Ma, dice <b>Reynolds</b>, il movimento in avanti era costante e progressivo. L'idea che quello che il domani sarebbe stato più ricco di oggi. Semplicemente perché sarebbe stato diverso. Ogni tanto arrivavano sismi improvvisi e lo spostamento diventava evidente. Il punk, l'apparizione dell'hip hop. I Velvet Underground o <i>Pet Sounds</i>, Loveless o la Jungle, Dylan o il Post-punk. Qualcosa cambiava e tutti se ne rendevano conto, ma l'esplosione del cambiamento era generata da una sorta di potente e irresistibile accumulo energetico generato dal movimento sotterraneo e di lungo periodo. La musica pop, anche quando sembava immobile, continuava a premere in avanti, in modo irresistibile. La pressione del terreno generava affioramenti di diamanti. Le rocce si sgretolavano, colpite da ondate successive. Forse non vedevi il cambiamento, ma sotto sotto sentivi che alla fine la marea avrebbe avuto ragione della stasi rocciosa.</div><div style="margin-bottom: 0cm;">Nell universo iper-statico della connettività illimitata, tutto avviene in modo frenetico. L'immobilità è percorsa da strane vibrazioni. Niente sta davvero fermo, ma tutto sembra muoversi in cerchio. La cultura del sampling e del loop è davvero un emblema perfetto della nostra epoca: l'idea che il passato – anche quello appena trascorso – sia un deposito di codici dai quali attingere frammenti ricombinabili a piacimento. Codici che si ripetono in cerchio, perfettamente a tempo, sequenze di bit che plasmano in un flusso di metallo liscio la ruvidezza e l'attrito del suono analogico. Anche l'errore è previsto dal sistema come effetto di profondità. Ariel Pink che sommerge sotto nebbie di disturbo i suoi riff e le sue melodie. Gli Hauntologisti che generano paesaggi sfocati. La psichedelia dissolta attraverso le abrasioni del feedback. È l'effetto instagram: la fotografia retro creata digitalmente. La simulazione del passato come modo per staccarsi dal presente e non pensare al futuro. DJ Shadow, il profeta sampledelico, che costruisce un disco di soli suoni ripresi e riusati, mentre Dangermouse mette in mash-up i Beatles e Jay Z creando il <i>Grey Album</i>. Kanye West che riprende i Daft Punk che riprendono qualcun altro. Il gioco dell'influenza come guscio nel quale raggomitolarsi, tranquilli, fetali, aggiornando pagine, mettendo in pausa un vecchio video su Youtube, skippando canzoni, costruendo librerie sonore su misura per la nostra disponibilità intermittente di tempo, twittando in tempo reale, uploadando la mostra musica preferita.</div><div style="margin-bottom: 0cm;">William Gibson ha parlato, a questo propositò, di a-temporalità radicale: una temporalità bloccata che sembra fatta per favorire il consumo di prodotti che stanno tutti sullo stesso piano temporale, e rispetto ai quali è difficile introdurre un criterio di precedenza e successione. Come succede al lavoro quando le urgenze e le attività da svolgere si accumulano, la cosa più difficile diventa definire delle priorità. Cioè compiere delle scelte.</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;"><i>photo source</i>: <a href="http://www.artfromcode.com/?p=905">http://www.artfromcode.com/?p=905</a></div>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-5468570928460468482011-11-15T18:35:00.001+01:002011-11-15T18:46:31.825+01:00Simon Reynolds su Retromania<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihPgm6P57__sjtxV75luozVLBNmBPrsClH4rueHkGYJ2Ue8LBZb5phy9RT3clmf6kqlixRUm9-TWk81qjuYAbM_QAloS2ehlC0V-GFIGGYSLIhRdVs01tZIfy_rD7w12_uBQRVKwZUIig/s1600/SimonReynolds+%25283+of+6%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihPgm6P57__sjtxV75luozVLBNmBPrsClH4rueHkGYJ2Ue8LBZb5phy9RT3clmf6kqlixRUm9-TWk81qjuYAbM_QAloS2ehlC0V-GFIGGYSLIhRdVs01tZIfy_rD7w12_uBQRVKwZUIig/s320/SimonReynolds+%25283+of+6%2529.jpg" width="213" /></a></div><br />
Sul <a href="http://retromania-isbn.blogspot.com/">blog</a> che <b>ISBN </b>ha dedicato a <i>Retromania</i> è uscita in due parti l'intervista fatta (anche con il mio zampino per un paio di domande) a <b>Reynolds</b>. Il nostro riesce come sempre a non rispondere in modo scontato e offre qualche spunto ulteriore rispetto al suo libro. Per capire la serietà di Reynolds in queste cose, provate a confrontare qualche intervista recente: le risposte non sono mai buttate là o scritte col pilota automatico. Prova, se ce n'era bisogno, di grande professionalità e di rispetto per gli intervistatori. Quando qualcuno ha qualcosa da dire, questo è il risultato...<br />
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Leggi la <b><a href="http://retromania-isbn.blogspot.com/2011/11/intervista-simon-reynolds-prima-parte.html">I parte</a></b> dell'intervista<br />
Leggi la <a href="http://retromania-isbn.blogspot.com/2011/11/isbn-intervista-simon-reynolds-seconda.html"><b>II parte</b></a> dell'intervistasignor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-18073811314277044142011-11-06T16:52:00.000+01:002011-11-06T16:52:29.842+01:00Elogio di Giorgio M.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNQGeZG9pyCuOUtyIbb7nxM9MhxgaeR4nK4472LIsVSWQi7Ls2-bQctPM3RpcS_P7GB61lnkhBSw4Mn66_REZOY0NRdKLTUI0ITL8rPIi9VXpWNaNxIM3iyXJP90XbabPzeDHyIStwsk4m/s1600/moroder.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="448" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNQGeZG9pyCuOUtyIbb7nxM9MhxgaeR4nK4472LIsVSWQi7Ls2-bQctPM3RpcS_P7GB61lnkhBSw4Mn66_REZOY0NRdKLTUI0ITL8rPIi9VXpWNaNxIM3iyXJP90XbabPzeDHyIStwsk4m/s640/moroder.jpg" width="640" /></a></div><div style="margin-bottom: 0cm;"><br />
</div><div style="margin-bottom: 0cm;">Riprendendo un commento di <a href="https://twitter.com/#!/casadivetro">@casadivetro</a> in cui si lamentava l'assenza di <b>Moroder</b> da <i>Retromania</i>, provo nel mio piccolo a rimediare postando qualche suo classico. In effetti, il baffuto di Ortisei, oltre ad aver praticamente inventato l'electro-pop con la sua versione sintetica della musica disco (la pietra miliare è naturalmente la multiorgasmica <i>I Feel Love</i> cantata da Donna Summer), ha lanciato uno dei pochi generi che vedono un apporto originale dell'Italia alla musica dance e pop, cioè l'Euro-Disco, con la successiva incarnazione Italo, ovviamente. Reynolds, che di Moroder parla in qualche passaggio di <i>Energy Flash</i>, lo colloca in questo senso tra i precursori della House di Chicago. Poi, non contento, il genio tirolese ha compiuto formidabili scorribande a hollywood, incidendo a forza il suo nome in molti momenti ormai infiltrati nell'immaginario collettivo: basta pensare a Richard Gere in completo Armani che corre per le strade di LA sulla sua spider nera, all'inizio di American Gigolo, con "Call Me" dei Blondie (prodotta e in parte scritta da Moroder) che accompagna i titoli di testa; oppure a un assoluto goiello di esagerazione hollywoodiana come "Take My Breath Away"<i> </i>suonata dai Berlin: piena estetica ottanta quella di <i>Top Gun</i>, ma quantomai attualissima con le riattivazioni hypnagogiche e Chill Wave del verbo sintetico e delle visioni eighties. </div><div style="margin-bottom: 0cm;">Per descrivere la sua musica mi viene da pensare a dei Kraftwerk cafoni e ipersessuati, con un immaginario che sta tra<i> Scarface</i> di De Palma e l'Ispettore Derrick, una perfetta fusione di sensi e suoni artificiali, camicie con colletti enormi e collane d'oro in mezzo a cristalline melodie elettroniche, come suggerito dall'intreccio di vocoderismi, quattro quarti disco, scale sintetizzate, melodie tirolesi e vocine maliziose della esageratissima "From Here to Eternity"<i> </i>del 1977<i>, </i>talmente piantata nel suo tempo da poter essere un pezzo di due giorni fa. O penso all'altro gioiello del periodo, quella "E=MC2" (con tanto di "Thank You, Albert" finale) che pare un'anticipazione dei Daft Punk di <i>Discovery</i>. Certo, il nostro, da buon artista totale, non ha mai rifiutato di confrontarsi con momenti di terrificante kitsch nazional-popolare (vi dice niente "Notti magiche, inseguendo un gol..."?), ma questo contribuisce in un certo senso alla sua statura di icona culturale assoluta. E fuori da ogni retorica vintage, il tema di <i>Fuga di mezzanotte</i> è un capolavoro inarrivabile del pop elettronico e della musica da film, e basterebbe questo per far rimanere nella storia (nella leggenda c'è già) il signor Giorgio Moroder.<br />
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</div><div style="margin-bottom: 0cm;"> </div><br />
<iframe width="550" height="412" src="http://www.youtube.com/embed/0OU7Hka_--U" frameborder="0" allowfullscreen></iframe><br />
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<iframe width="550" height="412" src="http://www.youtube.com/embed/QD4Ks_EMQBY" frameborder="0" allowfullscreen></iframe><br />
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<iframe width="550" height="412" src="http://www.youtube.com/embed/2kw-X1dNuzI" frameborder="0" allowfullscreen></iframe>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-12747691850217232032011-10-26T08:51:00.000+02:002011-10-26T08:51:10.002+02:00GARAGE SALES<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy5Q2UWZjVXTykYAiiuhxNZxtIwmoLroYA6xPw6cOip60Klr3BtFS_eJY1nkXeOMzoB5hbbrdLLN1xof3LH1gWgxAIyqMy3dj1wbdSt04A67SsdIgOj91AxRdcumEpEDyWZZyCRdklB8nB/s1600/Hangar-Bicocca-Garage-Sale-03.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="270" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy5Q2UWZjVXTykYAiiuhxNZxtIwmoLroYA6xPw6cOip60Klr3BtFS_eJY1nkXeOMzoB5hbbrdLLN1xof3LH1gWgxAIyqMy3dj1wbdSt04A67SsdIgOj91AxRdcumEpEDyWZZyCRdklB8nB/s400/Hangar-Bicocca-Garage-Sale-03.jpg" width="400" /></a></div><br />
Da che punto nel tempo o da che zona cronologica ci parlano gruppi come i <b>White Stripes</b> (ormai sciolti) o i <b>Black Keys</b>, che si rifanno in modo esplicito a stilemi musicali che fanno parte della tradizione rock? Garage blues reimpiantati nel tempo presente, che arrivano ai piani alti delle classifiche, ma che appaiono - alla fine - rassicuranti e già sentiti. Sappiamo bene cosa troveremo nei loro dischi, una sorta di classicismo dell'immondizia, suoni sporchi al punto giusto. È un buon esempio dell'estetica da mercatino dell'usato di cui Reynolds parla rifacendosi in parte al critico d'arter francese <b>Nicholas Bourriaud</b>, con il suo concetto di <b>Post-produzione</b>: opere d'arte che si basano sul riciclo e sulla rimessa in circolo di tratti stilistici ormai consegnati al junkyard della storia, con l'artista che interviene sempre più in fase di post-produzione, modificando e mescolando oggetti, suoni e immagini pre-esistenti.<br />
E quindi, nel nostro caso, ascoltiamo canzoni che potrebbero essere state scritte in un momento qualsiasi tra il 1965 e il 2010. O anche prima. E il dato sconcertante è che questi artisti diventano icone di stile, produttori e autori di successo (chi rinuncerebbe nel 2011 a un cameo di Jack White?). Persino, con <i>Seven Nation Army</i>, i White Stripes sono arrivati all'inno da stadio (certo un effetto non voluto). I Black Keys, per parte loro, concedono gioielli di retro-blues a innumerevoli spot pubblicitari (non c'è ovviamente alcun moralismo, solo la strana sensazione che si prova nell'ascoltare certi suoni del passato in rapporto a, poniamo, un cellulare di utlima generazione). Senza dimenticare altre declinazioni del verbo garage, da quella psycho-blues dei <b>Black Rebel Motorcycle Club</b>, al garage punk degli <b>Hives</b>, fino a gruppi che guardano più all'hard anni settanta come <b>Wolfmother </b>e <b>Jet</b>: tutte band che in un modo e nell'altro hanno avuto momenti di grande successo attorno alla metà degli anni 2000.<br />
Si assiste in modo esplicito all'abbandono dell'ideale modernista, che consisteva, per dirla in breve, nella ricerca dell'evoluzione e del progresso come segno di autenticità. I dischi di queste band diventano dei modi per marcare il presente, entrando magari nelle classifiche dei dischi dell'anno e del decennio, ma la marcatura porta con sè il carico di una tradizione esplicitamente assunta come più autentica dei suoni di oggi. Viene quindi considerata "centrale" e significativa per il nostro tempo quella che appare una specie di fissazione manieristica su determinate epoche e suoni. Anche se va detto che i White Stripes il meccanismo retromaniaco lo usavano in modo così esibito da essere allo stesso tempo dentro e fuori tutto questo sistema retrosonoro. I giochi con i colori, i video citazionisti e simpaticamente postmoderni di <b>Michel Gondry</b>, le battute sulla relazione fintamente ambigua tra Jack e Meg, la spudorata povertà del loro esibirsi come icone stilose di un passato povero ed essenziale: tutto concorre a fare dei White Stripes la massima incarnazione dei paradossali intrecci tra passato e presente che hanno caratterizzato gli anni zero (e che caratterizzano, magari con sfumature diverse, gli anni dieci).<br />
Per questo intreccio tra rinascita garage, estetica da mercatino dell'usato, riciclo di carillon della zia e di vinili del nonno, trendismo vintage ed estetica cool pubblicitaria, propongo di usare il termine "<b>Garage Sales</b>", richiamando i mercatini fatti per svuotare il garage di cose che non si sa più dove mettere. Che, per chiudere il cerchio, sono un'istituzione tipicamente americana, vista in innumerevoli telefilm, perciò a loro volta un termine "di recupero".signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-50768237584484443612011-10-10T19:10:00.001+02:002011-10-10T20:07:20.536+02:00ANGELI CON LA FACCIA SPORCA: GLI STROKES<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjp-hArNldvh6vi94Ll-swvqF_g_KM-e1H8zN0kmY3j91PckoEB9ITfgsMbFX8o-Rc61s_nhbCdKxTeUZnTsmWbC2vxVWSQ_lXFRiQ3L6g9O3WSIM4Tq4lIecNkH85j62HQW0APqXHlyZ6x/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="319" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjp-hArNldvh6vi94Ll-swvqF_g_KM-e1H8zN0kmY3j91PckoEB9ITfgsMbFX8o-Rc61s_nhbCdKxTeUZnTsmWbC2vxVWSQ_lXFRiQ3L6g9O3WSIM4Tq4lIecNkH85j62HQW0APqXHlyZ6x/s320/1.jpg" width="320" /></a></div><br />
In tutta questa storia di effetti retromaniaci trovo ad esempio che poco si sia parlato di uno dei manifesti estetici del genere, cioè del booklet di <i>Is This It</i> degli <b>Strokes </b>(album che per molti sta fra i primissimi degli anni zero), con la ricreazione di un immaginario vintage trash, da CBGB misto a spacciatori da telefilm poliziesco o film exploitation di drogati: tutta una storia della musica e del pop fine anni settanta evocata da foto in stile segnaletica al commissariato che danno il tono al disco prima ancora di ascoltarlo. I primi piani dei cinque del loro entourage sono un'anticipazione di tutta l'estetica indie chic che impera sulle riviste alla <i>Rolling Stone</i>: Julian Casablancas sembra un teppistello strafottente ingabbiato alla fine di una notte di bagordi, Albert Hammond ha la sigarettina all'angolo della bocca e i riccioli naturali spettinati ad arte, e gli altri mugshot polizieschi non sono da meno, anche se rimane nel cuore soprattutto il volto da commissario Ingravallo del loro misterioso guru, l'ineffabile JP Bowersock, versione debosciata di Kotter dell'omonimo telefilm anni settanta.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8ILLphuUrtgAAEh08vJrwAle6TsYhRc2IU3scP0BulWML3j-SMnpMpMuFeL0BfD56EVn-iOG5Z4Z1hvE5s8GPo2EO_eMQFjhVVF5UNwzM9Qk8bXuPZTIHwUxW6jaB_XH19Bil399n16km/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="319" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8ILLphuUrtgAAEh08vJrwAle6TsYhRc2IU3scP0BulWML3j-SMnpMpMuFeL0BfD56EVn-iOG5Z4Z1hvE5s8GPo2EO_eMQFjhVVF5UNwzM9Qk8bXuPZTIHwUxW6jaB_XH19Bil399n16km/s320/2.jpg" width="320" /></a></div><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">E poi la musica stessa, tra Velvet e Television, molta Patti Smith, sporcizie urbane e suoni pesantemente filtrati e compressi - deviati e impolverati ad arte - si propone come un catalogo di stili e miti del passato, alcuni esplicitamente assunti come influenze, altri presenti forse come suoni assorbiti in modo inconscio. Indie sporco, da New York criminale e criminosa, tra immaginario di loft e raffinatezze in giubbotto di pelle (o forse perversioni cuoio e corde, alla <i>Cruising</i>), in un disco che re-iscrive di prepotenza il rock chitarristico nelle classifiche e nel cuore della musica indie. </div><div style="text-align: left;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdwJLgJgMTXqP_dESe06Y7ZyE_YHilSLYEm1BEABF0J91y5p-jNPKxvKko7IbQgvv8xepzzWLIxBV7bHEzZVAkSRa4TTXMAQ-pUpZ5a4v7wJtIMpGhiQRNnYqCDvArcpl2D49yjjWBFmmU/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="319" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdwJLgJgMTXqP_dESe06Y7ZyE_YHilSLYEm1BEABF0J91y5p-jNPKxvKko7IbQgvv8xepzzWLIxBV7bHEzZVAkSRa4TTXMAQ-pUpZ5a4v7wJtIMpGhiQRNnYqCDvArcpl2D49yjjWBFmmU/s320/3.jpg" width="320" /></a></div><br />
Ma poi - lo mostra bene SR - quella New York, la culla autentica e originaria del protopunk, era già un discorso di doppio livello. Ad esempio nell'iperletterarietà di Patti Smith, Rimbaud in gita alla grande mela, con la sua voglia di riprendere certi discorsi interrotti della tradizione rock; o nella stessa immagine consapevolmente pop e retro dei Ramones con il loro punk che nasce dall'elettrificazione del surf e dei Beach Boys con dosi generose di bubblegum. Senza dimenticare che Lenny Kaye - uno dei perni della band di Patti Smith - era già stato artefice con Nuggets della prima filologia garage rock, proponendo l'idea che nelle pepite sepolte di gruppi meteora degli anni sessanta si potesse ritrovare l'essenza genunina del rock del passato. Proprio quella New York era allora già un discorso su altro da sè, sul passato, su quello che stava accanto, su cose lette e trovate ed ascoltate altrove. Ed è perciò tanto più paradossale che periodicamente si ripresenti l'epica del CBGB e la mitologia dei Ramones fotografati in un vicolo con il chiodo consunto, i jeans stracciati e le All Star distrutte ai piedi. Cioè il perfetto paradigma di stuoli di neo-alternativi alla moda che si possono incontrare in qualunque concerto, nemmeno troppo indie.<br />
Ecco allora che gli Strokes sono davvero l'emblema perfetto di questo rock al secondo grado che più che esibire i suoi riferimenti culturali li indica in modo così sfacciato da risultare persino simpatico. Che poi i cinque fossero da subito tutti fighetti e pieni di soldi, con tutta la storia dei primi incontri alla boarding school in Svizzera, per me aggiunge sapore alla faccenda. Gli Strokes simbolo del Rock non sono poi tanto distanti dai Ramones figli della borghesia ebraica che si propongono come fumetto della ribellione (e infatti non mancano i comic book con i quattro protagonisti): e così è l'idea stessa di autenticità ad essere rimessa in discussione, e non basta notare che dopotutto alcuni di loro erano davvero tossici e spostati. Cosa vuole dire, allora, essere autentici quando il passato del rock e del pop convive sotto forma di archivio a tutti accessibile con un presente fatto di download illimitati e di suoni che vengono riattivati come effetto retro e vintage in qualunque canzone che si propone come attualissima <i>new thing</i>?signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-6990642306199180052011-09-26T08:00:00.001+02:002011-09-26T08:00:02.648+02:00THIS IS THE (NEW) AGE OF AQUARIUS<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEVm2dgsar_6gHwOdSrfEXVjzZ0nRfj9CuJfl0IUlWJjRKDAFnKp4kHJ-FQSp6fD_bvK4Nwa-gvCLJ2CLgj4q0P4aoJtHqr46UtAaqzC-A-IXeImG_HQIvAX-601o9YHnMQvXvhPhsKiY1/s1600/3772870094_aabca3edfb.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEVm2dgsar_6gHwOdSrfEXVjzZ0nRfj9CuJfl0IUlWJjRKDAFnKp4kHJ-FQSp6fD_bvK4Nwa-gvCLJ2CLgj4q0P4aoJtHqr46UtAaqzC-A-IXeImG_HQIvAX-601o9YHnMQvXvhPhsKiY1/s640/3772870094_aabca3edfb.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">© miguelteixeira on Flickr</td></tr>
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In questi ultimi tempi l'effetto retromaniaco ha fatto sì che anche alcuni generi improbabili stiano riemergendo dai bauli polverosi in cui erano stati confinati. Chi l'avrebbe mai detto che anche la musica <b>new age</b>, quella da sottofondo kitsch delle cassette per meditare, tutta piogge di sintetizzatori analogici, suoni di onde che si infrangono sul bagnasciuga e melodie atmosferiche, sarebbe riemersa come tendenza degli anni 10 del nuovo millennio? Un'altra imbarazzante passione che alcuni di noi ora possono rivelare senza rischiare di attirarsi gli sguardi di compatimento degli amici e lo stigma dell'esclusione sociale.<br />
C'è comunque molto di più, oltre alle voci impostate da induzione ipnotica e i cristalli da appendere al collo. Voli cosmici sulle tracce dei <b>Tangerine Dream</b>, percussioni etniche immerse in fumi di incenso, olii essenziali spalmati sulla schiena mentre in tv và <i>Il Signore del Male</i> di John Carpenter interrotto dalla pubblicità di libri sulla crescita personale. Vapori ipnagogici e modellini dello Space Shuttle. Il tempo, come dice Reynolds, ha perso la sua direzionalità, e aprendo una porta potremmo entrare nella cameretta di un nerd che sta studiando le tecniche di controllo mentale della Dharma Corporation di <i>Lost </i>oppure ritrovarci una libreria degli anni settanta a comprare i libri di Peter Kolosimo. Questa forma di new-new-age (come la definisce Maurizio Blatto nella sua <a href="http://isbnedizioni.it/files/2011/08/retromania-rumore.pdf">intervista a Reynolds</a> uscita su <b>Rumore</b> di questo mese) è parte di quell'ondata di "Spectral Americana" di cui il nostro Simon parla nel capitolo di <i>Retromania </i>"Fantasmi di futuri passati": alcuni dei musicisti della nuova era dell'Acquario rientrano nel gran calderone del pop hauntologico (o chill-wave, o glo-fi, a seconda della sfumatura che preferiamo), una forma musicale dai contorni mobili e amebiformi emersa negli ultimi due-tre anni negli Stati Uniti e caratterizzata, un po' come la britannica hauntology, dal recupero di frammenti musicali del passato offuscati e semicancellati. Una musica che attraversa certe dimensioni temporali in uno stato stuporoso da sonnambuli e che riattinge soprattutto al pop anni ottanta radiofonico, tra <b>Hall & Oates</b>, i <b>Foreigner </b>e la colonna sonora di <i>Miami Vice</i>. Il tutto evocato attraverso placide nebbie di disturbi radiofonici (come in Ariel Pink) o tramite la ri-creazione della condizione di chi è stato bambino negli anni ottanta. Un'estetica fatta di vecchie vhs di fantascienza, frammenti di exotica che si rifanno più a <i>Magnum P.I.</i> che alla lounge music anni sessanta. Elettronica analogica da kraut rock mescolata a teen movie con ragazze in bikini, come l'allucinazione di Molly Ringwald in un porno patinato o un remake psichedelico di <i>Robocop</i>. Tra i rappresentati della linea hypnagogica, troviamo gente come <b>James Ferraro </b>(già con gli Skaters), i fanatici del loop cosmici <b>Emeralds</b>, <b>Toro-Y-Moy</b>, col suo soul synth-pop pieno di venature black, i disneyani acidi <b>Ducktails </b>e il ronzante e spaziale <b>Oneohtrix Point Never</b>, con i suoi concept di astronauti nella guerra fredda. I nuovi fanatici della new age vengono da qui, mescolando kitsch e stati alterati di coscienza e creando degli anni ottanta in bassa fedeltà, oggetti di amore della psiche sognante che non sono mai esistiti. Su tutti, i <b>Dolphins into The Future</b> e gli <b>Stellar Om Source</b>, con i loro panorami di foreste da depliant di viaggio conditi con cascate di sintetizzatori e frammenti di melodie cristalline.<br />
Allora, tiriamo fuori dal ripostiglio la nostra vasca di deprivazione sensoriale, accendiamo una decina di candele profumate e apprestiamoci a fluttuare nello spazio.signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-87660914650895926332011-09-19T17:56:00.000+02:002011-09-19T17:56:46.884+02:00RETROMANIA, UN TENTATIVO DI RECENSIONEIl 15 settembre scorso, <i>Retromania </i>è uscito anche in versione italiana per <a href="http://isbnedizioni.it/catalogo/saggistica/retromania/">ISBN edizioni</a>.<br />
Dopo averci scritto sopra tante cose, ecco una piccola <b>recensione</b>.<br />
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEii1eK2sITAr5tdHn9cMNEFhyq1WEkvb5rqZicVCR0Dqj8-Jm13l-ftL2iZODcdMUlv7ranBmdsPBuQAgJJ6uAoL0ZRwlS_wwO-7CoGqcxFrKfDy9CHd3fUfOtcXAVr22RSAW9QI42WccGT/s1600/g.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="475" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEii1eK2sITAr5tdHn9cMNEFhyq1WEkvb5rqZicVCR0Dqj8-Jm13l-ftL2iZODcdMUlv7ranBmdsPBuQAgJJ6uAoL0ZRwlS_wwO-7CoGqcxFrKfDy9CHd3fUfOtcXAVr22RSAW9QI42WccGT/s640/g.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">© Haroon Mirza, Evolution of a revolution (2011) </td></tr>
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<i>Retromania </i>è un libro sul passato e il presente del pop, con una domanda sullo sfondo: cioè se un futuro per il pop sia ancora possibile. La musica pop ha fino ad ora descritto un certo rapporto con il presente e con le possibili trasformazioni affettive e psichiche di una categoria che potremmo identificare con l'adolescenza (reale e immaginaria) e con lo stato di stupore e novità che si vive quando si scopre qualcosa che parla –attraverso suoni e rumori – al nostro modo di stare al mondo. Elvis, Dylan, i Beatles, i Velvet, i Kraftwerk, il punk, il krautrock, il post-punk, la techno hanno aperto fratture nella linearità del tempo e, ogni volta – dopo di loro – le cose non sono più state le stesse: sono stati eventi che hanno impresso nuove curvature al presente. Nel momento in cui, all'apparenza, tutto è stato già detto, la storia del pop come razzo lanciato verso il futuro sembra però fermarsi e la spinta all'innovazione, la vocazione profondamente modernista del pop e del rock, potrebbero essere solo un ricordo da evocare dalle nebbie del passato.<br />
Quella che è sembrata una grande occasione, vale a dire la possibilità di accedere in tempo reale, attraverso la rete, all'immenso archivio della musica prodotta negli scorsi decenni, sembra ora congelare il tempo del pop in una specie di eterno rimbalzo tra presente e passato. Le coordinate dell'oggi musicale sono inscritte nella rete di continui rimandi – tra citazioni, omaggi, pastiche, parodie, adorazioni, ossessioni – di epoche passate. Il musicista, sempre più consapevole della tradizione che lo ha generato, diventa un curatore, un selezionatore, un commentatore che replica, campiona e mixa pezzi di musica di un tempo trascorso. Si tratta di un atto d'amore, certo, ma un amore che può diventare cannibalico, distruggendo l'oggetto della sua passione, generando piccole paranoie e manie, portando il fan e il musicista a soffermarsi in modo quasi feticista su certi suoni, certe ere, certi ritmi, per riportarli in vita attraverso procedimenti che hanno a che fare con l'occultismo e la psicosi non meno che con la tecnologia.<br />
Reynolds esplora questa paradossale temporalità retroattiva, la retromania che fa correre in avanti con gli occhi fissi nel retrovisore e con il rischio di andare a sbattere contro il muro della stasi e dell'immobilità (o contro lo schermo del pc, incapaci di guardare cosa succede fuori dalla finestra). Rievocando le retromanie che già hanno abitato come fantasmi il corpo del pop (dal Northern Soul alla rinascita mod, dal revival rock 'n' roll all'elettronica del dopoguerra, dal citazionismo di Stereolab e LCD Soundsystem all'elettronica fantasmatica di Boards of Canada e Broadcast, dalla fusione sampledelica di DJ Shadow alla furia arty dei Sonic Youth), Reynolds porta il lettore in un lungo viaggio su e giù per lo spazio-tempo, guidato dalla passione del fan e dal rigore dello storico sociale. E di fronte al business della memoria (gruppi che calcano i palchi come morti viventi, sontuosi cofanetti che rimpinguano le casse delle case discografiche) e a sottili operazioni retromaniache (il re-enactement come operazione estetica, i fantasmi di futuri mai realizzati della <i>hauntology</i>), Reynolds sembra porre una domanda radicale. È ancora possibile una musica che sia in grado di parlare all'urgenza del qui e ora o siamo ormai condannati a un turismo musicale virtuale, senza il brivido della scoperta e della novità, guidati solo dalla nostra capacità di orientarci nel grande archivio del passato?<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcuxXYOiRDGmc4qvN8qOoeISkHcWH6upClatsYr5sWIZSPGGfJra9DEdG3ECjEs1bXbhXZ3BP2gy_S6XbzqMD9LTnFcSA-H_HHFXvlW1fGVH0CVueENC2GU9cyKjQ_Q1Aed5ATiNlqEvPF/s1600/retromania_800x600.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgcuxXYOiRDGmc4qvN8qOoeISkHcWH6upClatsYr5sWIZSPGGfJra9DEdG3ECjEs1bXbhXZ3BP2gy_S6XbzqMD9LTnFcSA-H_HHFXvlW1fGVH0CVueENC2GU9cyKjQ_Q1Aed5ATiNlqEvPF/s200/retromania_800x600.jpg" width="133" /></a></div><b><br />
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<b>RETROMANIA</b><br />
<b>Simon Reynolds</b><br />
480 pag. PAGINE | 26.90 EURO<br />
Data di uscita: 15 settembre 2011<br />
Traduzione: Michele Piuminisignor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-28592711435162489902011-09-13T17:19:00.000+02:002011-09-13T17:19:12.333+02:00INFLUENZE<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgd6CuqqSnZsNn0TpfiziAIDnO5_v9T_IMpkx512qj90GYRatAvOfVe-GZ6qjFWouL6xMzSb7f5p0xZLjAvO4rLL7N4RQV5cadU-p8VolDIbUQlp5_4qCTAMBI9ZqFhwZ7Ogkg7SkQ9670t/s1600/David+Hockney+2+copy.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgd6CuqqSnZsNn0TpfiziAIDnO5_v9T_IMpkx512qj90GYRatAvOfVe-GZ6qjFWouL6xMzSb7f5p0xZLjAvO4rLL7N4RQV5cadU-p8VolDIbUQlp5_4qCTAMBI9ZqFhwZ7Ogkg7SkQ9670t/s400/David+Hockney+2+copy.jpg" width="346" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Times New Roman', serif;">© </span>Tyler Morgan's blog</td></tr>
</tbody></table><br />
Non è passato poi molto tempo da quando definire un musicista o una band “derivativi” equivaleva a un insulto dei peggiori. <b>Derivare </b>in modo esplicito da qualcun altro significava essere poco originali, imitare, prendere in prestito suoni e stili del passato, essere incapaci di affrontare le sfide del presente musicale, manifestare una tendenza museale e conservatoriale opposta all'idea di creatività assoluta. Soprattutto, voleva dire non essere in grado di lanciare suoni davvero nuovi, capaci di spingere la musica verso il futuro. Se osserviamo le creazioni musicali degli ultimi anni, nota Reynolds, il fatto di indossare e manifestare in modo esplicito le proprie influenze è un modo per essere al passo con i tempi.<br />
Pare quasi che le cose si siano ribaltate: se non sei derivativo, se non mostri con chiarezza chi sono i tuoi maestri, se non fai in modo che i predecessori e gli antenati si possano sentire costantemente all'interno della tua musica, non sei davvero attuale. Provo a fare un po' di nomi (alcuni li riprendo da <b>Reynolds</b>, ma altri ne aggiungo io e l'elenco potrebbe continuare). I soliti, da Jesus & Mary Chain a White Stripes, da Primal Scream a Franz Ferdinand, passando per Strokes e Devendra Banhardt. Ma quante cose potrebbero stare nell'elenco? Si potrebbe con un po' di pazienza creare una tavola degli elementi pop-rock, per poi chiedersi quale combinazione manca. Stone Roses (Byrds con molto groove), Spiritualized (psichedelia + gospel + wall of sound alla Spector/Brian Wilson), Interpol (Television + Joy Division), Setreolab (Kraut + Françoise Hardy), Arctic Monkeys (Kinks + Smiths con l'acceleratore schiacciato). Ci sono persino i gruppi derivativi che vanno a periodi, tipo Picasso, come fanno gli Horrors (Cramps + Seeds prima, My Bloody Valentine + Krautrock poi). Oppure, abbiamo band come gli Arcade Fire che attraversano buona parte della tradizione rock e indie creando una ricetta trascinante (una specie di epic-indie wagneriano) e inconfondibile, come se Neil Young o Springsteen fossero passati attraverso il grunge e il post-rock (e non viceversa).<br />
Questo elenco sommario è interessante per un motivo ben preciso. Se andate a guardarvi gli elenchi dei migliori dischi – i più rappresentativi – degli anni novanta o degli anni zero, questi artisti li troverete praticamente tutti (attenzione, alcuni sono dei capolavori, vedi Spiritualized, Arcade Fire, Stereolab o Arctic Monkeys, ma questo non elimina l'effetto derivativo). Quindi ecco qui la cosa che fa pensare: cosa succederà quando l'intervallo della nostalgia si assottiglierà ulteriormente, portando i nuovi musicisti a essere influenzati in modo diretto da musicisti che nascono già come fieramente derivativi? La categoria di originalità avrà ancora senso di fronte al trionfo di un pop al secondo grado?<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/ma9I9VBKPiw" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/IH3aQJj119Y" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="338" src="http://www.youtube.com/embed/9oI27uSzxNQ" width="550"></iframe>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-9609897928314033312011-09-09T12:42:00.000+02:002011-09-09T12:42:05.854+02:00LA CHIUSURA DEL PORTALE<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7pmboVJDO2c5ySeTkM9Tr4mUQ1PmZ6MLNiyEtz8-3HBnT1X80197i-n3DToi-E_Uibq15BKq3ZwKOaRudCuL8NZtuAhy_H8K9rMtF3mM3nhDQiKwxJt_S2QYJYhg-vc5lpYp5OLJmgkqf/s1600/EnviroPill_ArchigramArchivalProject_02.png" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7pmboVJDO2c5ySeTkM9Tr4mUQ1PmZ6MLNiyEtz8-3HBnT1X80197i-n3DToi-E_Uibq15BKq3ZwKOaRudCuL8NZtuAhy_H8K9rMtF3mM3nhDQiKwxJt_S2QYJYhg-vc5lpYp5OLJmgkqf/s1600/EnviroPill_ArchigramArchivalProject_02.png" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">© Archigram Archival Project</span></div></td></tr>
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In prima superiore, durante una visita alla biblioteca scolastica (una biblioteca che per qualche oscura ragione non era accessibile agli studenti e che non avrei mai più rivisto fino all'ultimo anno), mi fiondai sullo schedario alla ricerca del nome di uno scrittore. Individuata la collocazione dei libri di quello scrittore, scelsi il più grosso e lo presi in prestito. Al termine di quella fugace visita, sotto gli occhi stupiti dei miei compagni di classe, stringevo sotto il braccio il corposo <i>Meridiano </i>di <b>Oscar Wilde</b>, come se fosse stata la cosa più figa del mondo. Dato che in quel periodo non ero quello che si potrebbe definire un lettore forte (di letteratura, per quanto riguarda i fumetti altra storia...), l'episodio aveva dell'incredibile. Cos'era successo? Era successo che in <i>Cemetery Gates</i>, contenuta nell'album degli <b>Smiths </b><i>The Queen is Dead</i>, che a quel tempo consumavo, Morrissey cantava "Keats and Yeats are by your side, while Wilde is on mine...". Verso evocativo che mi aveva fatto pensare a quei tre come se si trattasse di custodi di saperi segreti, sorta di re magi della poesia inglese, sicuramente appassionanti da leggere e ricchi di tesori iniziatici. Purtroppo, arrivato a casa col Meridiano di Wilde in mano, presi la decisione di iniziare la lettura non dal <i>Ritratto di Dorian Gray</i>, che qualche anno dopo avrei scoperto e apprezzato, ma dalla luttuosissima e tragica <i>Ballata del carcere di Reading</i>, titolo che ancora oggi non riesco a pronunciare senza un brivido accompagnato da una sensazione di soffocamento. Fine del breve idillio con Wilde, e sarebbero passati anni prima che considerassi ancora uno status symbol tenere un libro in mano...<br />
La musica pop e rock, anche a livello tematico, è stata a lungo un portale, un ingresso su altri mondi. Mark E. Smith dei <b>Fall </b>(il nome della band viene da <i>La Caduta</i> di <b>Camus</b>) che parla di <b>Dostoevskij </b>o dei racconti di fantasmi di <b>Montague Rhodes James</b>, gli<b> Scritti Politti</b> che intitolano una canzone <i>Jacques Derrida</i>. I <b>Talking Heads</b> che prendono il testo di<i> I Zimbra</i> da Hugo <b>Ball</b>, uno dei fondatori del Cabaret Voltaire, oppure versi come "Lode a Mishima e a Majakovskij" salmodiati da Giovanni Lindo <b>Ferretti</b>. E ancora, titoli come<i> Truman Capote</i> o <i>Saul Bellow </i>(rispettivamente di<i> </i><b>Künnecke & Smukal</b> e <b>Sufjan Stevens</b>). Un nome o un riferimento in una canzone potevano scatenare una curiosità, spingere a una lettura. Far venir voglia di...<br />
Si parlava del mondo esterno, di quello che accadeva fuori della musica, anche quando si parlava di letteratura. In fondo, scopate, passioni, visioni o letture erano comunque temi della vita praticata (a volte) o sognata (più spesso), dell'adolescente. Oltre all'incontro (sfortunato) col Wilde della terrificante <i>Ballata del carcere di Reading</i> (altro brivido...) ricordo la scoperta di Lovecraft stimolata dai <b>Metallica </b>di <i>The Call of Cthulhu</i> e di <i>The Thing That Should Not Be</i>. Apparizioni di nomi come piccoli sogni di mondi possibili, che in un'era pre-internet erano spesso solo suggestioni vaghe, curiosità da soddisfare a scoppio ritardato, perché mancava la materia prima. Quindi c'era un rapporto con il desiderio, con la ricerca, con la mancanza da colmare.<br />
Ora, dice <b>Reynolds</b>, la musica sembra parlare soprattutto di se stessa, attraverso la ricerca di suoni in grado di evocare sapori passati, con il ricorso a un lessico caratterizzato temporalmente, ad abiti vintage, a immagini e immaginari legati a un certo periodo della storia della musica pop. Si decide di suonare in un modo ben preciso, ed ecco centinaia di weird folkers, neo kraut, riattivatori del verbo sabbathiano attraverso lo stoner, integralisti del thrash metal (ma non hanno mai suonato così bene, al tempo, quei dischi), scopiazzatori devoti della linea Stones-Stooges, cultori di musichette da programma di utilità pubblica inglese, riattivatori di Punk Funk (vedi Franz Ferdinand) e molti altri esempi. Basta guardarsi attorno e ascoltare. Si costruisce il proprio essere musicisti con abiti trovati in giro, smessi da altri. E qui sta il punto, dice Reynolds: un tempo, il rock parlava dell'esperienza del teenager, mentre oggi la musica sembra parlare soprattutto di altra musica. Dal commento dell'esperienza vissuta al commento del commento, in una sorta di deriva talmudica, in cui tutto sembra essere una questione di note a piè di pagina di un testo che è già stato scritto. In un certo senso, è come se il portale su altri mondi si fosse chiuso e la musica si proponesse come l'unico mondo possibile.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/6XyEZEXjq6U" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/dW4M8YZV7F8" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/pNNbJ04167I" width="550"></iframe>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-64169023802794196982011-09-07T07:58:00.000+02:002011-09-07T07:58:45.165+02:00RIPETIZIONI 3: IL BREAK MUTANTEA partire dai due post sul tema (<a href="http://signorhulot.blogspot.com/2011/08/ripetizioni-1-da-ziggy-stardust-al-napa.html">qui</a> e <a href="http://signorhulot.blogspot.com/2011/08/ripetizioni-2-la-riproduzione.html">qui</a>), si possono distinguere due forme di ripetizione che forse aiutano a sciogliere alcuni dei nodi di <i>Retromania</i>. Propongo di fare una distinzione tra<br />
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<ul><li>Una <b>riproduzione </b>del passato, che si basa su criteri mimetici e parte dalla constatazione che un determinato modo di far musica ormai fa parte di un vocabolario sonoro acquisito e accettato, disponibile a tutti. È la ripetizione passiva, ormai alla portata di chiunque grazie all'immenso archivio sonoro a disposizione dell'ascoltatore e all'accessibilità di programmi che permettono di manipolare il suono. Rappresenta l'atteggiamento più propriamente retromaniaco e nostalgico. Può produrre buona musica, ma difficilmente produrrà nuovi suoni.</li>
<li>Una <b>ripetizione </b>della novità dell'evento, cioè la riconnessione con la parte di evento che non è stata completamente attualizzata e che può insistere, sotto forma di ulteriore novità, sul nostro presente. È la ripetizione creativa, che cerca di ritrovare la spinta alla novità del suono di partenza per farlo entrare in risonanza con contesti e territori musicali inediti. Il rapporto con il passato esiste, ma non ha nulla di nostalgico. Quelli che escono dal filtro della mutazione non sono copie o parodie postmoderne, ma nuovi organismi costruiti anche (ma non solo) con componenti di organismi del passato. Un passato che non ha ancora finito di lanciare i suoi segnali verso il futuro.</li>
</ul><br />
Faccio un esempio molto rapido: il <b>break ritmico</b> "inventato" da<b> James Brown</b> e dai suoi musicisti negli anni sessanta diventa in seguito il centro di propulsione della musica funky, grazie a musicisti come Sly Stone e George Clinton. Il funky ben presto si afferma come un vocabolario dominante, perdendo la sua forza di innovazione sonora e riducendosi a semplice codice di riproduzione stilistica. Il break di batteria allora migra, come un virus che diffonda il proprio frammento di codice mutante, entrando in altri organismi e facendoli ulteriormente mutare. Và a costituire l'ossatura ritmica di buona parte dell'hip-hop, sulla quale gli MC recitano le loro rime (come in <i>Fight the Power</i> dei Public Enemy, che contiene proprio un sample del break di batteria di <i>Funky Drummer</i> di James Brown, suonato da Clyde Stubblefield).<br />
Se già con l'hip-hop il break cominciava a perdere la dimensione ipersessuata che aveva in James Brown per diventare strumento di rabbiosa rivendicazione politica, poco a poco si trasforma in una scheggia sonora autonoma e incattivita. Ecco allora nei primi anni novanta il <b>breakbeat</b>, la parte campionata e riassemblata che costituisce l'ossatura ritmica e la novità sonora della <b>jungle</b>. La frenesia e la frammentazione del ritmo fanno da specchio a una musica sempre più oscura. E ancora, gli stessi breakbeat - entrando negli anni zero - vengono rallentati e ulteriormente decostruiti, trasformando l'iperattività adrenalinica della jungle nella narcosi ritmica e nelle griglie di beat irregolari del <b>dubstep</b>. Da qui partono ulteriori linee di evoluzione, come nei pezzi di Zomby, in cui gli ultrabassi dubstep incontrano la musica da videogame e la techno, ricapitolando due decenni di musica da rave.<br />
La storia continua...<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="338" src="http://www.youtube.com/embed/K5hVJai-z6U" width="550"></iframe><br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/u2ZqZ53gqeI" width="550"></iframe>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-63504786173762220422011-09-01T18:16:00.001+02:002011-09-04T19:01:47.430+02:00RYAN MCGINLEY, LA DOLCE ALA DELLA GIOVINEZZA<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgD5grTpKGyj481uaQuvlTOOrdYSwZCueACxNbCcfd0EF8HUQK5n4t2vS-yg16dBaHasn0zxBepEuLshQz6p0M7y7In5tTl9P-j_hW-trCQsCPlB2QKXf8GlyKhSgCW8oMNyOhuYID1lO_R/s1600/ryan-mcginley-India_Coyote.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgD5grTpKGyj481uaQuvlTOOrdYSwZCueACxNbCcfd0EF8HUQK5n4t2vS-yg16dBaHasn0zxBepEuLshQz6p0M7y7In5tTl9P-j_hW-trCQsCPlB2QKXf8GlyKhSgCW8oMNyOhuYID1lO_R/s640/ryan-mcginley-India_Coyote.jpg" width="425" /></a></div><br />
Il fotografo <b>Ryan McGinley</b> lo conoscete se avete comprato <i>Með suð í eyrum við spilum endalaust</i>, cioè il disco dei <b>Sigur Rós</b> del 2008, quello con un gruppo di ragazzi che corrono verso le verdi colline dopo aver scavalcato un guard rail, con addosso solo le scarpe. Oppure, potrebbe avervi colpito la copertina de<i> Il Regno Animale</i>, romanzo d'esordio di <b>Francesco Bianconi</b> dei Baustelle. È la foto di una ragazza piuttosto androgina. A coprirla solo un coyote vivo, sulle spalle. Graffi sul ventre e sulle cosce. Per capire che non è una ragazza e avere, se siete etero, una conferma dei vostri gusti sessuali, dovete osservare bene, perché potrebbe essere anche un ragazzo bellissimo, mezzo elfo e mezzo alieno. La ragazza guarda in camera con uno sguardo leggermente strabico. L'asimmetria degli occhi la rende ancora più intrigante. E poi c'è il lupo, anche lui ha lo sguardo in camera. È un po' spaesato, non credo che gli capiti tutti i giorni di stare sulle spalle di una ragazza nuda.<br />
Lo stile di Ryan McGinley è molto interessante ed è in assoluto equilibrio tra perfezione della resa estetica e leggero spaesamento indotto da cose che non dovrebbero stare assieme. I suoi nudi sono corpi e volti imperfetti, appena usciti dall'adolescenza, ma del tutto a loro agio nel muoversi in scenari naturali incantati. C'è una specie di vena atletica nelle sue ragazze che saltano e si tuffano, o che sembrano soffiate nella foto da un colpo di vento, nei gruppi arrampicati in cima agli alberi, nei ritratti con animali che sembrano spiriti guida non ancora staccati del tutto dal teenager che sta per diventare adulto. Ninfe ed elfi usciti da una rivista di moda che abitano in un mondo di boschi, laghi, stagni, erba, alberi, gufi, coyote, cerbiatti, pavoni, alligatori, ragni. I suoi modelli intrattengono con la natura un dialogo che sembra essere precluso a tutti noi e che durerà per un tempo molto breve. Un giorno smetteranno di parlare il linguaggio fatto di gambe troppo magre e muscoli allungati. I loro nervi si faranno spessi, le indecisioni delle forme prenderanno una direzione definitiva. La fine della metamorfosi.<br />
A volte le foto, in un bianco e nero estremamente pulito o a colori, con aloni e margini sfumati che trasformano gli occhi e i seni - esposti alla luce del sole o della luna - in doppi eterei, metà corpo metà spirito, raccontano dialoghi segreti. Mi ricordano certe immagini di Larry Clark o di Gus Van Sant, trasfigurate in una sorta di incanto cosmico (credo sia questo che ha attratto i Sigur Ros). Sufficientemente ammiccante da piacere anche al mondo della moda (ha fatto tra l'altro campagne pubblicitarie per la Levi's), McGinley è un cocco della comunità chic newyorkese e definisce le proprie opere come "un incontro tra fotografie di nudisti, porno vintage e le copertine di Sports Illustrated". Quello che mi inquieta e attrae, nei suoi lavori, è una vocina che sembra sussurrare e che dice "Guardateci, non sarete mai come noi, e anche noi – finché saremo vivi – non potremo mai più essere così belli".<br />
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Il <b>sito </b>di McGinley è <a href="http://ryanmcginley.com/">ryanmcginley.com</a><br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif6AOsdbb1dbuIY5PtIxhy7rzRdQkr1FDT8p-KrNDT-IdQmGwaG5r_ECovv7L4OARktfbJkjIhKziP0machZcy0RMOI-P6EavhgfW_1droHjNLSZQu_HsaBK4sFFL4Q4736t4QXDvtpa_U/s1600/JonasBarnSnowDisco.jpg.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="424" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEif6AOsdbb1dbuIY5PtIxhy7rzRdQkr1FDT8p-KrNDT-IdQmGwaG5r_ECovv7L4OARktfbJkjIhKziP0machZcy0RMOI-P6EavhgfW_1droHjNLSZQu_HsaBK4sFFL4Q4736t4QXDvtpa_U/s640/JonasBarnSnowDisco.jpg.jpg" width="640" /></a><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCEMm184Xtn-YVPKEztm573zQMfSDiWw9YDKq8h4LfuWndwViBIsNgFz28xpgo9NgpXmW4hbHNilrExRYDj6Gn-ZnwuwgKn_a0eoSAPasYOEM1C0XvnB1WaW70ZSOOvawCc2D8zzUHRUj2/s1600/Grace_Emu_2010.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCEMm184Xtn-YVPKEztm573zQMfSDiWw9YDKq8h4LfuWndwViBIsNgFz28xpgo9NgpXmW4hbHNilrExRYDj6Gn-ZnwuwgKn_a0eoSAPasYOEM1C0XvnB1WaW70ZSOOvawCc2D8zzUHRUj2/s400/Grace_Emu_2010.jpg" width="266" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfHMMT7iE6QWhAT8xJx8zF5_JsoTwo8zfwcGbi0AWdGBhtZbvVptxpc_rJTtqRRCBY4zjJEY_W3Kcfh9q37cyCfwuRtoI3iZ-QZT9KB7PKB6PKHdrKlNz8mHi7_hkEyLh33YIVqGpfdEcB/s1600/ryan-mcginley-Owl.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfHMMT7iE6QWhAT8xJx8zF5_JsoTwo8zfwcGbi0AWdGBhtZbvVptxpc_rJTtqRRCBY4zjJEY_W3Kcfh9q37cyCfwuRtoI3iZ-QZT9KB7PKB6PKHdrKlNz8mHi7_hkEyLh33YIVqGpfdEcB/s400/ryan-mcginley-Owl.jpg" width="266" /></a></div><br />
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</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl1YrH4TMeDahFY0_x3kgfJH0u4hTnomn5R2xaherU677SB4T0wbiV_ql_AMlIqhMJGSR147q-CJTYK0IaShKC4WkSMP8CH6LvQmMKNUpDz1qIfnbuSYz6Z0wKJms3D-ZWhUWBjQRQsv4r/s1600/mcginley_ann_slingshot_2007.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl1YrH4TMeDahFY0_x3kgfJH0u4hTnomn5R2xaherU677SB4T0wbiV_ql_AMlIqhMJGSR147q-CJTYK0IaShKC4WkSMP8CH6LvQmMKNUpDz1qIfnbuSYz6Z0wKJms3D-ZWhUWBjQRQsv4r/s1600/mcginley_ann_slingshot_2007.jpg" /></a></div><br />
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</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiW1sLC_asF6UmEyPic7hSGnbppHntcsUmtU5EG-iamRBd2ujiDUW6DvIM-o-X45S9ADM_8Ke88O_Li86wX0hE-SrxEwkzErfgwtFfuMeCcoVMywQXinaKwz1ZG30iq9LKmrTzbI0iV8LSO/s1600/mcginley_eric_2004.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="424" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiW1sLC_asF6UmEyPic7hSGnbppHntcsUmtU5EG-iamRBd2ujiDUW6DvIM-o-X45S9ADM_8Ke88O_Li86wX0hE-SrxEwkzErfgwtFfuMeCcoVMywQXinaKwz1ZG30iq9LKmrTzbI0iV8LSO/s640/mcginley_eric_2004.jpg" width="640" /></a></div><br />
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</div>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-773786503650623542011-08-26T15:48:00.000+02:002011-08-26T15:48:19.308+02:00DUE SIGNORIVisto ieri sera a Villa Varda di Brugnera (PN) <b><a href="http://www.iosonouncane.it/">Iosonouncane</a></b>, che ha eroicamente emesso piogge di beat e declamato litanie da TG4 nonostante l'assalto di torme di moscerini di tutte le taglie.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="429" src="http://www.youtube.com/embed/Hx-ENKvLp-8" width="560"></iframe><br />
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E poi <b><a href="http://www.myspace.com/nicolamanzan">Bologna Violenta</a></b>, che con le sue intemperanze grind-black-techno-core da mondo movie ha fatto piazza pulita di ogni forma di vita volante e non.<br />
Due signori che vale la pena di ascoltare.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="345" src="http://www.youtube.com/embed/fdVhffyO6uo" width="560"></iframe></div>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-32802668889644837682011-08-25T10:50:00.001+02:002011-09-07T08:01:33.847+02:00RIPETIZIONI 2: LA RIPRODUZIONE DELL'EVENTO<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdvTmeXCbioUFNM_TIRSDS7FN0rqdLyOEj9yFXDTgQSlGsEE8AwWEa3LHAypHjJR3dR2F3IaRMHUI975MpozIvvcw2zeak722Dkb2Dyz1X7aatROobYY68RpQMedN_oqQcUPLBdSR9bqPp/s1600/arts-24-hour-psycho-584.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdvTmeXCbioUFNM_TIRSDS7FN0rqdLyOEj9yFXDTgQSlGsEE8AwWEa3LHAypHjJR3dR2F3IaRMHUI975MpozIvvcw2zeak722Dkb2Dyz1X7aatROobYY68RpQMedN_oqQcUPLBdSR9bqPp/s640/arts-24-hour-psycho-584.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Photograph: Studio lost but found (Frederik Pedersen).</td></tr>
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Esiste negli ultimi anni tutta una linea di ricerca nell'arte contemporanea che lavora sulla ripetizione e la mutazione di opere precedenti. Penso, ad esempio, al famoso <i>24 Hour Psycho</i> di Douglas Gordon. Il video, del 1993, è la proiezione del capolavoro di Hitchcok con i frame rallentati da 24 a circa 2 al secondo, con conseguente dilatazione del film a 24 ore. Angela Bulloch nel suo <i>Solaris</i>, monta i suoi dialoghi sulle immagini del film di Tarkovskij, mentre l'olandese Kendel Geers isola e mette in loop alcune scene di film famosi, come <i>L'esorcista</i>. E, in ambito puramente cinematografico, non è molto distante da questo il remake scena per scena dello stesso <i>Psycho </i>fatta da Gus van Sant. La ripetizione, il <i>remake-remodel</i> (per dirla con i Roxy Music), il riutilizzo delle immagini sembrano abitare lo spazio dell'arte del cinema contemporaneo come una possibile linea di sviluppo. Immagini che giocano con altre immagini, costruendo narrazioni e spazi di fruizione alternative.<br />
<b>Iain Forsyth</b> e <b>Jane Pollard</b>, però, compiono un'operazione potenzialmente più dirompente perché si inseriscono all'interno di situazioni che contengono in sè la caratterizzazione di "evento", quindi situazioni uniche e non ripetibili (al contrario di un film che, per natura, esiste per essere riprodotto in situazioni diverse). Non lavorano solo con immagini, ma con immagini di eventi. Il secondo esempio può aiutarmi a indagare questo aspetto.<br />
Dopo <i>File Under Sacred Music</i> (di cui abbiamo già parlato qui), i due artisti operano un altro tentativo di decostruire l'evento mentre lo si ri-crea. Si confrontano infatti con una leggendaria performance degli <b>Einstürzende </b><b>Neubauten</b> all'ICA di Londra, finita in rissa. Si può ricreare il riot che avvenne nel corso del <i>Concerto for Voice & Machinery</i> del 1984? Tutti momenti leggendari che, come tutte le leggende, trovano la loro aura in una combinazione di irripetibilità e di ripetizione dell'evento leggendario attraverso il ricordo, la leggenda, il sentito dire. Il paradosso che sembrano esplorare Forsyth e Pollard è proprio questo: la ripetizione dell'irripetibile. Se l'evento, in quanto porta con sè una parte di imprevedibilità, è caratterizzato dal suo legame con il qui e ora e con il contesto, con uno spazio-tempo preciso, il tentativo di ripetere l'evento va necessariamente incontro allo scacco. Cosa si può ripetere quando qualcosa è avvenuto sotto forma di pura "differenza", cioè di rottura della continuità di una situazione? Dopotutto, Deleuze diceva che solo la differenza si può ripetere, solo l'intensità di un evento si può elevare allo stato di pura ripetizione, perché contiene in sè un margine che si sottrare alla semplice attualizzazione. Un evento – artistico o politico – non è una questione di attualità, perché non può essere ridotto ai codici di lettura del presente. Non accade semplicemente, ma insiste sul presente spezzettandolo in una serie temporale che continua a divergere. Solo la differenza si può ripetere e la differenza non può che ripetersi. Il <i>re-nactement</i> di un evento è allora questa forma di ripetizione sotto forma di immagine non composta, un modo di riaffermare la forza di scissione che l'evento ha introdotto nella temporalità comune e nelle percezioni abituali, vale a dire il fatto che è stato introdotto qualcosa che non era comprensibile secondo le chiavi di lettura e di ricezione precedenti.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/7Fonem_J_zU" width="550"></iframe><br />
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<b>Ripetizioni 1</b> lo trovi <a href="http://signorhulot.blogspot.com/2011/08/ripetizioni-1-da-ziggy-stardust-al-napa.html">qui</a>, <b>Ripetizioni 3</b> <a href="http://signorhulot.blogspot.com/2011/09/ripetizioni-3-il-break-mutante.html">qui</a>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-44738523172930192142011-08-18T08:33:00.002+02:002011-09-07T08:00:30.783+02:00RIPETIZIONI 1– DA ZIGGY STARDUST AL NAPA STATE MENTAL INSTITUTE<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div>Quasi incredibile il capitolo di <i>Retromania</i> sul re-enactement, vale a dire la riproposizione e ri-creazione di eventi e di situazioni legate alla tradizione pop e rock. A lavorare sul valore di performance di queste azioni sono gli artisti inglesi<b> Iain Forsyth</b> e <b>Jane Pollard</b>, che si sono specializzati in questo genere di intervento sul corpo e sulle icone del passato musicale. Tra le loro operazioni, la riproposizione dell'ultimo concerto degli Smiths prima dello scioglimento e il re-enactement dello show durante il quale David Bowie "uccise" il suo alter ego Ziggy Stardust. C'è un aspetto, soprattutto, che mi sembra interessante: per ricreare lo show – uno dei momenti che fanno ormai parte della leggenda del rock – vengono costruiti a posteriori dei connotati estetici legati a ricordi distorti e deviati, attraverso la mediazione di altri artefatti pop che hanno raccolto e archiviato la traccia dell'evento. Le luci dello show, ad esempio, sono virate al rosso, questo perché la memoria del concerto è stata tramandata dal film di Pennebaker che documentava la serata e che dava un tono rosso a tutte le riprese. Il vero ricordo è un ricordo distorto e imperfetto, infedele come tutti i ricordi e tanto più vero quanto più connesso alle "alterazioni originali". Anche chi c'era, a quel concerto, ora ricorda l'accaduto attraverso il filtro della mediazione tecnica e dell'immagine archiviata e depositata nel magazzino dellla storia. Si ricordano di un evento al quale hanno assistito in prima persona sulla base di ricordi "altrui" consegnati alla registrazione dello show. La registrazione modifica l'esperienza e la riproposizione dell'esperienza – la ripetizione esatta di un ricordo registrato, cioè di qualcosa che non può essere esatto fino in fondo – ha come criterio di validazione il fatto di essere fedele il più possibile al ricordo distorto, cioè al film di Pennebeker che è diventato il ricordo ufficiale, se non addirittura il ricordo "originale". Ad attestare l'autenticità è la fedeltà ai difetti e alle alterazioni della memoria.<br />
(Qua si potrebbe forse fare un discorso sulla moda Instagram, cioè quelle foto scattate con iPhone che simulano effetti e degradazioni di macchine fotografiche d'epoca. Cosa ci ricorderemo rivedendo le foto di un evento che abbiamo registrato sotto forma di reliquia di un'altra epoca? Tema che merita di essere ripreso, credo).<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIY_CuMuLNHbhn7qAAkKXPP3mTct1n8oSeSfuLDnWiPZQFSf2H8Wn-6rS2V7iG_lWl6k8RSwBMEDXWXD7UsxxA66KQhyDbEYR9e0BB79075By7DlpvUhsTlHavtk9gIE1k5Dy4aong8Znc/s1600/naca.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="204" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIY_CuMuLNHbhn7qAAkKXPP3mTct1n8oSeSfuLDnWiPZQFSf2H8Wn-6rS2V7iG_lWl6k8RSwBMEDXWXD7UsxxA66KQhyDbEYR9e0BB79075By7DlpvUhsTlHavtk9gIE1k5Dy4aong8Znc/s320/naca.jpg" width="320" /></a></div>E qui il passo oltre, davvero geniale. Forsyth e Pollard portano all'estremo la cosa con due re-enactement di eventi borderline. Il primo, intitolato <i><a href="http://www.fileundersacredmusic.com/">File under sacred music</a></i>, ripropone la registrazione di uno show leggendario dei Cramps tenutosi nel 1978 al Napa State Mental Institute, davanti a malati mentali autentici (non solo davanti, ma anche in mezzo a loro). Lo show ora esiste solo attraverso vecchie registrazioni e ri-registrazioni successive, fino ad arrivare a un vhs che nasce da un fan che ha effettuato la ripresa di una televisione che mandava in onda il concerto. Quindi, per ricapitolare: evento originale-registrazione dell'evento-copie successive della registrazione-trasmissione televisiva di una copia-ripresa con videocamera della trasmissione televisiva.<br />
È quest'ultimo il documento "originale" dell'evento sul quale i due artisti hanno lavorato. L'operazione di re-enactement ha ricreato addirittura le condizioni di usura del nastro dovuto alle molteplici ri-registrazioni e ai passaggi da un format all'altro. Ma non solo: persino i bordi del televisore che veniva ripreso dalla videocamera sono stati inseriti nel video. Per ricreare l'evento sono stati "reclutati" veri malati mentali per impersonare (e quindi falsificare) altri veri malati mentali. Vertigine di questa simulazione di effetti di archivio che mira a rendere ripetibile qualcosa di assolutamente unico e originario. Non si ripete dunque l'esperienza, ma la registrazione dell'esperienza, creando una sorta di archivio parallelo delle tracce dell'evento, un doppio delle immagini e dei suoni archiviati, che in quanto doppio risulta bizzarramente originale. Anche se poi, nota bene Reynolds, i Cramps erano un gruppo di meta-rock, per quanto schizoide e convulso, con una passione da collezionisti per il rockabilly che li ha portati a creare una nuova forma di rockabilly post-punk e psicotico (chiamato appunto pyschobilly). Un'operazione meta-artistica di questo tipo è un modo per introdurre un terzo livello di frattura psicotica – dopo quella musicale e quella reale dei pazienti del Napa State – nell'evento.<br />
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<iframe frameborder="0" height="364" src="http://player.vimeo.com/video/1628397?title=0&byline=0&portrait=0" width="450"></iframe><br />
<a href="http://vimeo.com/1628397">The Cramps Live at Napa State Mental Hospital....Nuff Said</a><br />
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<iframe frameborder="0" height="339" src="http://player.vimeo.com/video/4017891?title=0&byline=0&portrait=0" width="450"></iframe><br />
<a href="http://vimeo.com/4017891">File under Sacred Music</a> from <a href="http://vimeo.com/iainandjane">Iain & Jane</a> on <a href="http://vimeo.com/">Vimeo</a>.<br />
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<b><span class="Apple-style-span" style="font-weight: normal;"><b>Ripetizioni 2</b> lo trovi <a href="http://signorhulot.blogspot.com/2011/08/ripetizioni-2-la-riproduzione.html">qui</a>, <b>Ripetizioni 3</b> <a href="http://signorhulot.blogspot.com/2011/09/ripetizioni-3-il-break-mutante.html">qui</a></span></b>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-49005580138939880162011-08-10T08:00:00.002+02:002011-08-10T08:00:15.379+02:00L'ARCHIVIO E I MORTI VIVENTI<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4YWik2DzM8yvpD_7vO5Kx6qvs1yKqH4JVwv-hb6OfPQBWXSTV9DYFNDDT5lHUCsIlSX0rhUnVhijP5MNmW2sM2Hc5ClJgzRCB5eYziTSCy9KEQK6sreHaQGVsxnQvcG9tQF7ZjtYBcsJT/s1600/25-blitz-copy.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="428" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4YWik2DzM8yvpD_7vO5Kx6qvs1yKqH4JVwv-hb6OfPQBWXSTV9DYFNDDT5lHUCsIlSX0rhUnVhijP5MNmW2sM2Hc5ClJgzRCB5eYziTSCy9KEQK6sreHaQGVsxnQvcG9tQF7ZjtYBcsJT/s640/25-blitz-copy.jpg" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La biblioteca londinese di <a href="http://thestack.wordpress.com/2008/06/04/reading-books-and-taking-photos-of-them/">Holland House</a>, distrutta durante il blitz, nel 1941</td></tr>
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<i>Retromania</i>, oltre ad essere una dettagliata incursione nelle zone di interferenza tra passato e futuro nella musica pop e rock, è anche un testo ricco di spunti teorici. Ad esempio, Reynolds cita <b>Derrida</b>, soprattutto il libro<i><a href="http://www.filema.it/catalog/product_info.php?products_id=84"> Mal d'archivio</a></i>, in cui il filosofo francese si interrogava sugli strani effetti che si generano quando esploriamo lo spazio concettuale e operativo dell'archivio. L'archiviazione è per Derrida una condizione che accompagna ogni momento di produzione di conoscenza: è l'immenso apparato di registrazione e deposito del sapere e dei segni che accompagna e raddoppia la nostra cultura. Ogni volta che parliamo o che scriviamo, lasciamo delle tracce (su un foglio di carta, nella memoria o da qualche altra parte). L'effetto di archiviazione accompagna quindi ogni momento della nostra vita, dato che l'archivio è proprio lo spazio di deposito e recupero delle tracce e dei segni.<br />
Il riferimento è quanto mai attuale, se pensiamo ai nostri hard disc pieni di canzoni e suoni che si ammassano spesso in modo caotico, separando il momento dell'accumulo della musica dal momento del consumo e della fruizione: quante volte ci capita di scaricare, legalmente o meno, dischi che non ascolteremo mai o ai quali dedichiamo solo un'attenzione laterale e parziale?<br />
La pulsione di archiviazione può essere allora vista – provando a seguire le linee argomentative di <i>Retromania </i>– come una come spinta quasi ossessiva a immergersi nelle tracce (sonore in questo caso) dell'archivio per riprenderle e riattivarle: è un tentativo di ripetere il passato, fino a cercare di ritornare al cominciamento assoluto, alla purezza dell'origine. Per molti dei momenti retromaniaci esplorati da Reynolds, la domanda fondamentale sembra essere "Quand'è stato che le cose hanno iniziato ad andare male?": l'idea è sempre quella di recuperare un'origine non contaminata da quello che è accaduto dopo.<br />
Che si tratti di un appasionato di rock 'n' roll, di un musicista di weird folk sulle tracce della <i>Anthology </i>di Harry Smith o dello stesso Reynolds che accumula vinili di elettronica sperimentale degli anni cinquanta, esiste alla base di tutto questo il desiderio di ritrovare un momento di purezza e di autenticità. E questo desiderio, per Derrida, si confonde con la pulsione di morte freudiana. Se la vita è costituita essenzialmente dalle continue deviazioni che costituiscono la nostra condizione di esseri finiti, la volontà di ritornare all'inizio è anche il sogno di scongiurare le deviazioni vitali e le contaminazioni che contraddistiguono l'esperienza, il tentativo di ritrovare lo stato previtale: accorciare o eliminare quella deviazione dalla morte che è la vita, o prolungare artificialmente momenti auratici, come l'adolescenza. Adorare l'archivio e cercare di riportarlo in vita è un modo per distruggerlo, cercando una relazione non mediata con il passato.<br />
Questa forma di riattivazione dell'esperienza intesa come esperienza originaria – nel doppio senso di esperienza dell'origine e di esperienza nuova e inaugurale - rischia però di creare dei morti viventi. La condizione stessa dell'archivio rende impossibile l'idea di autenticità e di originalità, dato che la prima volta, la "nascita" dell'esperienza originaria, è già intessuta di spostamenti e slittamenti temporali. Quello che accade è che frammenti di passato e ricordi di esperienze trascorse vengono portati nel presente come se fossero vivi e presenti, ma possono apparire solo attraverso le distorsioni imposte dalla distanza temporale. Per questo c'è una vena sottilmente occulta in queste operazioni: riportare in vita il passato assomiglia molto a compiere un'operazione alla Frankenstein, al morso del vampiro o al prolungamento della non vita dei film di zombie di Romero. O all'evocazione di fantasmi che continuano a ritornare e ad infestare il presente.<br />
signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-276547192210582701.post-48629226245051382602011-08-08T20:07:00.000+02:002011-08-08T20:07:13.578+02:00JOE YAMANAKA (1946-2011), THE SUN SHINES EVERYDAY<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGjjz19djDyP9SNDXL8gdCQPiFqZ6t145R_Kb-psME1-aLQ5ciHFhsQF_OUM_UtPDGi_1jouIvpl-XLxwU6hhKQhUYj3KwhjncmFTK_7s0Yd7Ev3pTMpCAsI45vWEdyoNt0xKbt0Y4R87t/s1600/flowertravellinbandftb1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="277" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGjjz19djDyP9SNDXL8gdCQPiFqZ6t145R_Kb-psME1-aLQ5ciHFhsQF_OUM_UtPDGi_1jouIvpl-XLxwU6hhKQhUYj3KwhjncmFTK_7s0Yd7Ev3pTMpCAsI45vWEdyoNt0xKbt0Y4R87t/s400/flowertravellinbandftb1.jpg" width="400" /></a></div>Non vorrei che questo si trasformasse in un sito di necrologi, ma ieri – dopo Conrad Schnitzler – se n'è andato anche <b>Akira "Joe" Yamanaka</b>, leggendario cantante dei <b>Flower Travellin' Band</b>. Nella famosa foto di copertina di <i>Anywhere</i>, che <b>Julian Cope</b> ha usato per <i><a href="http://www.japrocksampler.com/">Japrocksampler</a></i>, quella in cui una congrega di scoppiatoni giapponesi se ne va nuda in chopper lungo una strada desolata, Joe è il motociclista con l'incredibile capigliatura afro. Voglio dire: un giapponese afro nudo su una moto alla fine degli anni sessanta... Pare se la fosse fatta crescere dopo aver fatto parte del coro dell'edizione giapponese di Hair ed essere completamente uscito di testa per l'esperienza. Oltre che musicista è stato anche un attore, piuttosto popolare nella parte da duro.<br />
Allora, se qualcuno non ha mai ascoltato i <b>Flower Travellin' Band</b>, occorre dire due cose. La prima è che sono proprio come li si vede in quella foto, talmente assurdi e selvaggi e caricaturali da risultare del tutto autentici. La seconda è che il loro secondo 33 giri, <i>Satori</i>, del 1970, è un pezzo di rock incandescente staccato da qualche pianeta e caduto sulla Terra – nelle viscere del monte Fuji, ovviamente – per rinascere sotto forma di mastodonte elettrico. Molto spesso, i gruppi giapponesi hanno preso quello che veniva fatto altrove portandolo a un livello di estremismo ulteriore. <i>Satori </i>ne è un perfetto esempio: suona come se una band di power rock alla Blue Cheer avesse collegato un sitar a un amplificatore e avesse deciso di suonare i Black Sabbath per un gruppetto di monaci shintoisti folli. È blues elettrico portato oltre il livello della decenza. Un'odissea hard rock talmente potente da suonare quasi oscena. Le canzoni di Satori non hanno titoli. Solo I, II, III, ecc. Ascoltate "Satori I". Forse non è la voce che noterete, in un pezzo che è una specie di orgia chitarristica uscita da un mondo parallelo (Julian il druido ha definito il disco "un festival di adorazione della chitarra diretto dal maniaco Hideki Ishima"). Ma l'urlo iniziale di Joe Yamanaka, quello non lo dimenticherete. Nella successiva "Satori II", tra lancinanti riff orientaleggianti e una batteria rotolante e minacciosa, Joe recita una nenia che concilia l'oriente e il blues, con i versi memorabili: "There is no up or down/Death is made by the living/Pain is only intense to you/The sun shines everyday/Freedom freedom". Che sarebbe paccotiglia kitsch da stonati, se la musica non ti portasse oltre il sole, rendendo quelle parole bellissime.<br />
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<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="450" src="http://www.youtube.com/embed/71lBZz16dr4" width="550"></iframe>signor Hulothttp://www.blogger.com/profile/14252947689738379010noreply@blogger.com0