domenica 14 ottobre 2012

Hauntology, unire i punti



Tra i miei non molti meriti di esploratore di paesaggi culturali c'è quello - piccolo ma divertente da ricordare -  di essere stato probabilmente uno i primi a parlare di Hauntology in Italia. Dopo aver letto in un'intervista a Simon Reynolds (su Blow Up del maggio '08) un rapido accenno alla cosa, ho iniziato a interessarmene. Approfondendo il tema della hauntology sia dal punto di vista musicale che da quello culturale e concettuale, ho provato a elaborare qualche riflessione, partendo soprattutto dalla forte risonanza personale con certi temi. Nel 2008, con una serie di post sulla Covata Malefica (con l'alias Alunno Proserpio), ho provato a dare una definizione del termine, rintracciando alcuni fili sotterranei che permettessero di capire qualcosa della faccenda. Si trattava di un modo per chiarire soprattutto le cose a me stesso.
Ho pubblicato una versione ampliata di questi testi sul mensile Persone & Conoscenze tra il 2009 e il 2010, in una decina di puntate. Nel tempo ho poi continuato a esplorare il vasto e sfuggente territorio hauntologico, scrivendo un piccolo dizionario del cacciatore dei fantasmi e seguendo, in modo episodico, le declinazioni hauntologiche presenti anche in altre zone culturali (ad esempio in ambito americano, con il cosiddetto hypnagogic pop).

Non so se si possa dire che la hauntology sia diventata poi un trend pienamente riconoscibile. In Inghilterra si è continuato a produrre musica e altri artefatti culturali direttamente collegati all'ispirazione hauntologica. Alla Hauntology sono stati dedicati eventi e convegni, oltre che un grande numero di post (e alcuni siti). Ma in un senso o nell'altro, ogni volta che mi capita di leggere qualcosa ho l'impressione che di Hauntology si continui a parlare soprattutto in modo indiretto, deviato, attraverso l'attivazione di ondate discorsive e percettive che generano alterazioni concettuali difficili da circoscrivere.

C'è chi affronta la cosa dal punto di vista filosofico, chi opera attente e puntuali ricognizioni musicali (si vedano gli articoli di Massimo Balducci usciti su Blow Up nel 2010 sotto il titolo "Piccola Hauntologia Scolastica"), chi si lascia trasportare dalla suggestione generata da immagini, prodotti, film connessi a un determinato momento culturale. In attesa che Mark Fisher (alias K Punk, uno dei primi in assoluto a parlarne sul suo sito) pubblichi quello che potrebbe essere il primo contributo organico al dibattito, il da tempo annunciato Ghosts of my Life (un libro fantasma?).
Possibili punti di emergenza di questo strano continente sotterraneo si possono rintracciare nella miriade di siti dedicati al recupero di frammenti di estetica modernista o di suoni-parole-visioni collegate a un'idea di progresso dell'essere umano raggiungibile attraverso la creazione di percorsi educativi, scolastici e sociali capaci di coniugare il rigore del design e l'espressione della libertà individuale (date un'occhiata ad esempio a quello che c'è in toysandtechinques). Oppure si può pensare a quello strano continuum temporale in cui l'architettura brutalista (come quella di Thamesmead, che si vede nella famosa scena in cui Alex picchia i suoi amici drughi in Arancia Meccanica) o le stilizzazioni della grafica anni sessanta e settanta entrano in diretta collisione con immaginari fantascientifici, paranoie ufologiche e revival pagani (ne è un buon esempio foundobjects).


Per dirla in una sola frase, tutto ciò che hanno in comune queste differenti linee di sviluppo è una bizzarra attrazione per una zona temporale in cui modernismo e redenzione sociale, nenie infantili e voci aliene, vetrine di shop vittoriani e utopie socialiste entrano in contatto in un momento particolare, assumendo la consistenza sfumata di fantasmi.
La hauntology è ciò che si genera quando avviene questo contatto. Così può avvenire che un concetto preso da un libro su Marx scritto da un filosofo poststrutturalista diventi una specie di punto di attrazione per appassionati di sintetizzatori analogici, cultori di antichi riti della fertilità, esploratori di spazi urbani in disuso, appassionati di horror soprannaturale e nostalgici della New Jerusalem del dopoguerra. Nella dispersione delle chiavi di lettura, la hauntology continua a sottrarsi a una definizione univoca, eppure la traccia dei suoi passaggi rimane molto evidente, come un elemento di disturbo impresso sugli schermi del nostro presente. Forse è giusto così, perché in fondo sarebbe difficile parlare dei fantasmi come se si parlasse di una cosa qualsiasi.

Ho comunque deciso di riprendere la questione, pubblicando alcuni testi che ho continuato a scrivere in questi anni, nella convinzione che attraverso l'idea di hauntology e attraverso gli artisti, i musicisti e i teorici che si rifanno ad essa sia possibile capire qualcosa del tempo in cui viviamo. A cominciare dal fatto che il tempo non è mai uno solo, ma una compresenza di linee e strati temporali che continuano a cambiare di posto, costringendoci a muoverci in modo discontinuo. Non si tratta di fare il punto, ma di provare a unire una serie di punti dispersi su piani diversi, per capire che figura ne viene fuori.
Il modo di essere del fantasma non ha a che fare con la presenza, ma con il non esserci del tutto.
[Ottobre 2012]