mercoledì 10 agosto 2011

L'ARCHIVIO E I MORTI VIVENTI


La biblioteca londinese di Holland House, distrutta durante il blitz, nel 1941



Retromania, oltre ad essere una dettagliata incursione nelle zone di interferenza tra passato e futuro nella musica pop e rock, è anche un testo ricco di spunti teorici. Ad esempio, Reynolds cita Derrida, soprattutto il libro Mal d'archivio, in cui il filosofo francese si interrogava sugli strani effetti che si generano quando esploriamo lo spazio concettuale e operativo dell'archivio. L'archiviazione è per Derrida una condizione che accompagna ogni momento di produzione di conoscenza: è l'immenso apparato di registrazione e deposito del sapere e dei segni che accompagna e raddoppia la nostra cultura. Ogni volta che parliamo o che scriviamo, lasciamo delle tracce (su un foglio di carta, nella memoria o da qualche altra parte). L'effetto di archiviazione accompagna quindi ogni momento della nostra vita, dato che l'archivio è proprio lo spazio di deposito e recupero delle tracce e dei segni.
Il riferimento è quanto mai attuale, se pensiamo ai nostri hard disc pieni di canzoni e suoni che si ammassano spesso in modo caotico, separando il momento dell'accumulo della musica dal momento del consumo e della fruizione: quante volte ci capita di scaricare, legalmente o meno, dischi che non ascolteremo mai o ai quali dedichiamo solo un'attenzione laterale e parziale?
La pulsione di archiviazione può essere allora vista – provando a seguire le linee argomentative di Retromania – come una come spinta quasi ossessiva a immergersi nelle tracce (sonore in questo caso) dell'archivio per riprenderle e riattivarle: è un tentativo di ripetere il passato, fino a cercare di ritornare al cominciamento assoluto, alla purezza dell'origine. Per molti dei momenti retromaniaci esplorati da Reynolds, la domanda fondamentale sembra essere "Quand'è stato che le cose hanno iniziato ad andare male?": l'idea è sempre quella di recuperare un'origine non contaminata da quello che è accaduto dopo.
Che si tratti di un appasionato di rock 'n' roll, di un musicista di weird folk sulle tracce della Anthology di Harry Smith o dello stesso Reynolds che accumula vinili di elettronica sperimentale degli anni cinquanta, esiste alla base di tutto questo il desiderio di ritrovare un momento di purezza e di autenticità. E questo desiderio, per Derrida, si confonde con la pulsione di morte freudiana. Se la vita è costituita essenzialmente dalle continue deviazioni che costituiscono la nostra condizione di esseri finiti, la volontà di ritornare all'inizio è anche il sogno di scongiurare le deviazioni vitali e le contaminazioni che contraddistiguono l'esperienza, il tentativo di ritrovare lo stato previtale: accorciare o eliminare quella deviazione dalla morte che è la vita, o prolungare artificialmente momenti auratici, come l'adolescenza. Adorare l'archivio e cercare di riportarlo in vita è un modo per distruggerlo, cercando una relazione non mediata con il passato.
Questa forma di riattivazione dell'esperienza intesa come esperienza originaria – nel doppio senso di esperienza dell'origine e di esperienza nuova e inaugurale - rischia però di creare dei morti viventi. La condizione stessa dell'archivio rende impossibile l'idea di autenticità e di originalità, dato che la prima volta, la "nascita" dell'esperienza originaria, è già intessuta di spostamenti e slittamenti temporali. Quello che accade è che frammenti di passato e ricordi di esperienze trascorse vengono portati nel presente come se fossero vivi e presenti, ma possono apparire solo attraverso le distorsioni imposte dalla distanza temporale. Per questo c'è una vena sottilmente occulta in queste operazioni: riportare in vita il passato assomiglia molto a compiere un'operazione alla Frankenstein, al morso del vampiro o al prolungamento della non vita dei film di zombie di Romero. O all'evocazione di fantasmi che continuano a ritornare e ad infestare il presente.

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