venerdì 26 agosto 2011

DUE SIGNORI

Visto ieri sera a Villa Varda di Brugnera (PN) Iosonouncane, che ha eroicamente emesso piogge di beat e declamato litanie da TG4 nonostante l'assalto di torme di moscerini di tutte le taglie.




E poi Bologna Violenta, che con le sue intemperanze grind-black-techno-core da mondo movie ha fatto piazza pulita di ogni forma di vita volante e non.
Due signori che vale la pena di ascoltare.

giovedì 25 agosto 2011

RIPETIZIONI 2: LA RIPRODUZIONE DELL'EVENTO

Photograph: Studio lost but found (Frederik Pedersen).


Esiste negli ultimi anni tutta una linea di ricerca nell'arte contemporanea che lavora sulla ripetizione e la mutazione di opere precedenti. Penso, ad esempio, al famoso 24 Hour Psycho di Douglas Gordon. Il video, del 1993, è la proiezione del capolavoro di Hitchcok con i frame rallentati da 24 a circa 2 al secondo, con conseguente dilatazione del film a 24 ore. Angela Bulloch nel suo Solaris, monta i suoi dialoghi sulle immagini del film di Tarkovskij, mentre l'olandese Kendel Geers isola e mette in loop alcune scene di film famosi, come L'esorcista. E, in ambito puramente cinematografico, non è molto distante da questo il remake scena per scena dello stesso Psycho fatta da Gus van Sant. La ripetizione, il remake-remodel (per dirla con i Roxy Music), il riutilizzo delle immagini sembrano abitare lo spazio dell'arte del cinema contemporaneo come una possibile linea di sviluppo. Immagini che giocano con altre immagini, costruendo narrazioni e spazi di fruizione alternative.
Iain Forsyth e Jane Pollard, però, compiono un'operazione potenzialmente più dirompente perché si inseriscono all'interno di situazioni che contengono in sè la caratterizzazione di "evento", quindi situazioni uniche e non ripetibili (al contrario di un film che, per natura, esiste per essere riprodotto in situazioni diverse). Non lavorano solo con immagini, ma con immagini di eventi. Il secondo esempio può aiutarmi a indagare questo aspetto.
Dopo File Under Sacred Music (di cui abbiamo già parlato qui), i due artisti operano un altro tentativo di decostruire l'evento mentre lo si ri-crea. Si confrontano infatti con una leggendaria performance degli Einstürzende Neubauten all'ICA di Londra, finita in rissa. Si può ricreare il riot che avvenne nel corso del Concerto for Voice & Machinery del 1984? Tutti momenti leggendari che, come tutte le leggende, trovano la loro aura in una combinazione di irripetibilità e di ripetizione dell'evento leggendario attraverso il ricordo, la leggenda, il sentito dire. Il paradosso che sembrano esplorare Forsyth e Pollard è proprio questo: la ripetizione dell'irripetibile. Se l'evento, in quanto porta con sè una parte di imprevedibilità, è caratterizzato dal suo legame con il qui e ora e con il contesto, con uno spazio-tempo preciso, il tentativo di ripetere l'evento va necessariamente incontro allo scacco. Cosa si può ripetere quando qualcosa è avvenuto sotto forma di pura "differenza", cioè di rottura della continuità di una situazione? Dopotutto, Deleuze diceva che solo la differenza si può ripetere, solo l'intensità di un evento si può elevare allo stato di pura ripetizione, perché contiene in sè un margine che si sottrare alla semplice attualizzazione. Un evento – artistico o politico – non è una questione di attualità, perché non può essere ridotto ai codici di lettura del presente. Non accade semplicemente, ma insiste sul presente spezzettandolo in una serie temporale che continua a divergere. Solo la differenza si può ripetere e la differenza non può che ripetersi. Il re-nactement di un evento è allora questa forma di ripetizione sotto forma di immagine non composta, un modo di riaffermare la forza di scissione che l'evento ha introdotto nella temporalità comune e nelle percezioni abituali, vale a dire il fatto che è stato introdotto qualcosa che non era comprensibile secondo le chiavi di lettura e di ricezione precedenti.




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giovedì 18 agosto 2011

RIPETIZIONI 1– DA ZIGGY STARDUST AL NAPA STATE MENTAL INSTITUTE

Quasi incredibile il capitolo di Retromania sul re-enactement, vale a dire la riproposizione e ri-creazione di eventi e di situazioni legate alla tradizione pop e rock. A lavorare sul valore di performance di queste azioni sono gli artisti inglesi Iain Forsyth e Jane Pollard, che si sono specializzati in questo genere di intervento sul corpo e sulle icone del passato musicale. Tra le loro operazioni, la riproposizione dell'ultimo concerto degli Smiths prima dello scioglimento e il re-enactement dello show durante il quale David Bowie "uccise" il suo alter ego Ziggy Stardust. C'è un aspetto, soprattutto, che mi sembra interessante: per ricreare lo show – uno dei momenti che fanno ormai parte della leggenda del rock – vengono costruiti a posteriori dei connotati estetici legati a ricordi distorti e deviati, attraverso la mediazione di altri artefatti pop che hanno raccolto e archiviato la traccia dell'evento. Le luci dello show, ad esempio, sono virate al rosso, questo perché la memoria del concerto è stata tramandata dal film di Pennebaker che documentava la serata e che dava un tono rosso a tutte le riprese. Il vero ricordo è un ricordo distorto e imperfetto, infedele come tutti i ricordi e tanto più vero quanto più connesso alle "alterazioni originali". Anche chi c'era, a quel concerto, ora ricorda l'accaduto attraverso il filtro della mediazione tecnica e dell'immagine archiviata e depositata nel magazzino dellla storia. Si ricordano di un evento al quale hanno assistito in prima persona sulla base di ricordi "altrui" consegnati alla registrazione dello show. La registrazione modifica l'esperienza e la riproposizione dell'esperienza – la ripetizione esatta di un ricordo registrato, cioè di qualcosa che non può essere esatto fino in fondo – ha come criterio di validazione il fatto di essere fedele il più possibile al ricordo distorto, cioè al film di Pennebeker che è diventato il ricordo ufficiale, se non addirittura il ricordo "originale". Ad attestare l'autenticità è la fedeltà ai difetti e alle alterazioni della memoria.
(Qua si potrebbe forse fare un discorso sulla moda Instagram, cioè quelle foto scattate con iPhone che simulano effetti e degradazioni di macchine fotografiche d'epoca. Cosa ci ricorderemo rivedendo le foto di un evento che abbiamo registrato sotto forma di reliquia di un'altra epoca? Tema che merita di essere ripreso, credo).

E qui il passo oltre, davvero geniale. Forsyth e Pollard portano all'estremo la cosa con due re-enactement di eventi borderline. Il primo, intitolato File under sacred music, ripropone la registrazione di uno show leggendario dei Cramps tenutosi nel 1978 al Napa State Mental Institute, davanti a malati mentali autentici (non solo davanti, ma anche in mezzo a loro). Lo show ora esiste solo attraverso vecchie registrazioni e ri-registrazioni successive, fino ad arrivare a un vhs che nasce da un fan che ha effettuato la ripresa di una televisione che mandava in onda il concerto. Quindi, per ricapitolare: evento originale-registrazione dell'evento-copie successive della registrazione-trasmissione televisiva di una copia-ripresa con videocamera della trasmissione televisiva.
È quest'ultimo il documento "originale" dell'evento sul quale i due artisti hanno lavorato. L'operazione di re-enactement ha ricreato addirittura le condizioni di usura del nastro dovuto alle molteplici ri-registrazioni e ai passaggi da un format all'altro. Ma non solo: persino i bordi del televisore che veniva ripreso dalla videocamera sono stati inseriti nel video. Per ricreare l'evento sono stati "reclutati" veri malati mentali per impersonare (e quindi falsificare) altri veri malati mentali. Vertigine di questa simulazione di effetti di archivio che mira a rendere ripetibile qualcosa di assolutamente unico e originario. Non si ripete dunque l'esperienza, ma la registrazione dell'esperienza, creando una sorta di archivio parallelo delle tracce dell'evento, un doppio delle immagini e dei suoni archiviati, che in quanto doppio risulta bizzarramente originale. Anche se poi, nota bene Reynolds, i Cramps erano un gruppo di meta-rock, per quanto schizoide e convulso, con una passione da collezionisti per il rockabilly che li ha portati a creare una nuova forma di rockabilly post-punk e psicotico (chiamato appunto pyschobilly). Un'operazione meta-artistica di questo tipo è un modo per introdurre un terzo livello di frattura psicotica – dopo quella musicale e quella reale dei pazienti del Napa State – nell'evento.



The Cramps Live at Napa State Mental Hospital....Nuff Said


File under Sacred Music from Iain & Jane on Vimeo.

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mercoledì 10 agosto 2011

L'ARCHIVIO E I MORTI VIVENTI


La biblioteca londinese di Holland House, distrutta durante il blitz, nel 1941



Retromania, oltre ad essere una dettagliata incursione nelle zone di interferenza tra passato e futuro nella musica pop e rock, è anche un testo ricco di spunti teorici. Ad esempio, Reynolds cita Derrida, soprattutto il libro Mal d'archivio, in cui il filosofo francese si interrogava sugli strani effetti che si generano quando esploriamo lo spazio concettuale e operativo dell'archivio. L'archiviazione è per Derrida una condizione che accompagna ogni momento di produzione di conoscenza: è l'immenso apparato di registrazione e deposito del sapere e dei segni che accompagna e raddoppia la nostra cultura. Ogni volta che parliamo o che scriviamo, lasciamo delle tracce (su un foglio di carta, nella memoria o da qualche altra parte). L'effetto di archiviazione accompagna quindi ogni momento della nostra vita, dato che l'archivio è proprio lo spazio di deposito e recupero delle tracce e dei segni.
Il riferimento è quanto mai attuale, se pensiamo ai nostri hard disc pieni di canzoni e suoni che si ammassano spesso in modo caotico, separando il momento dell'accumulo della musica dal momento del consumo e della fruizione: quante volte ci capita di scaricare, legalmente o meno, dischi che non ascolteremo mai o ai quali dedichiamo solo un'attenzione laterale e parziale?
La pulsione di archiviazione può essere allora vista – provando a seguire le linee argomentative di Retromania – come una come spinta quasi ossessiva a immergersi nelle tracce (sonore in questo caso) dell'archivio per riprenderle e riattivarle: è un tentativo di ripetere il passato, fino a cercare di ritornare al cominciamento assoluto, alla purezza dell'origine. Per molti dei momenti retromaniaci esplorati da Reynolds, la domanda fondamentale sembra essere "Quand'è stato che le cose hanno iniziato ad andare male?": l'idea è sempre quella di recuperare un'origine non contaminata da quello che è accaduto dopo.
Che si tratti di un appasionato di rock 'n' roll, di un musicista di weird folk sulle tracce della Anthology di Harry Smith o dello stesso Reynolds che accumula vinili di elettronica sperimentale degli anni cinquanta, esiste alla base di tutto questo il desiderio di ritrovare un momento di purezza e di autenticità. E questo desiderio, per Derrida, si confonde con la pulsione di morte freudiana. Se la vita è costituita essenzialmente dalle continue deviazioni che costituiscono la nostra condizione di esseri finiti, la volontà di ritornare all'inizio è anche il sogno di scongiurare le deviazioni vitali e le contaminazioni che contraddistiguono l'esperienza, il tentativo di ritrovare lo stato previtale: accorciare o eliminare quella deviazione dalla morte che è la vita, o prolungare artificialmente momenti auratici, come l'adolescenza. Adorare l'archivio e cercare di riportarlo in vita è un modo per distruggerlo, cercando una relazione non mediata con il passato.
Questa forma di riattivazione dell'esperienza intesa come esperienza originaria – nel doppio senso di esperienza dell'origine e di esperienza nuova e inaugurale - rischia però di creare dei morti viventi. La condizione stessa dell'archivio rende impossibile l'idea di autenticità e di originalità, dato che la prima volta, la "nascita" dell'esperienza originaria, è già intessuta di spostamenti e slittamenti temporali. Quello che accade è che frammenti di passato e ricordi di esperienze trascorse vengono portati nel presente come se fossero vivi e presenti, ma possono apparire solo attraverso le distorsioni imposte dalla distanza temporale. Per questo c'è una vena sottilmente occulta in queste operazioni: riportare in vita il passato assomiglia molto a compiere un'operazione alla Frankenstein, al morso del vampiro o al prolungamento della non vita dei film di zombie di Romero. O all'evocazione di fantasmi che continuano a ritornare e ad infestare il presente.

lunedì 8 agosto 2011

JOE YAMANAKA (1946-2011), THE SUN SHINES EVERYDAY

Non vorrei che questo si trasformasse in un sito di necrologi, ma ieri – dopo Conrad Schnitzler – se n'è andato anche Akira "Joe" Yamanaka, leggendario cantante dei Flower Travellin' Band. Nella famosa foto di copertina di Anywhere, che Julian Cope ha usato per Japrocksampler, quella in cui una congrega di scoppiatoni giapponesi se ne va nuda in chopper lungo una strada desolata, Joe è il motociclista con l'incredibile capigliatura afro. Voglio dire: un giapponese afro nudo su una moto alla fine degli anni sessanta... Pare se la fosse fatta crescere dopo aver fatto parte del coro dell'edizione giapponese di Hair ed essere completamente uscito di testa per l'esperienza. Oltre che musicista è stato anche un attore, piuttosto popolare nella parte da duro.
Allora, se qualcuno non ha mai ascoltato i Flower Travellin' Band, occorre dire due cose. La prima è che sono proprio come li si vede in quella foto, talmente assurdi e selvaggi e caricaturali da risultare del tutto autentici. La seconda è che il loro secondo 33 giri, Satori, del 1970, è un pezzo di rock incandescente staccato da qualche pianeta e caduto sulla Terra – nelle viscere del monte Fuji, ovviamente – per rinascere sotto forma di mastodonte elettrico. Molto spesso, i gruppi giapponesi hanno preso quello che veniva fatto altrove portandolo a un livello di estremismo ulteriore. Satori ne è un perfetto esempio: suona come se una band di power rock alla Blue Cheer avesse collegato un sitar a un amplificatore e avesse deciso di suonare i Black Sabbath per un gruppetto di monaci shintoisti folli.  È blues elettrico portato oltre il livello della decenza. Un'odissea hard rock talmente potente da suonare quasi oscena. Le canzoni di Satori non hanno titoli. Solo I, II, III, ecc. Ascoltate "Satori I". Forse non è la voce che noterete, in un pezzo che è una specie di orgia chitarristica uscita da un mondo parallelo (Julian il druido ha definito il disco "un festival di adorazione della chitarra diretto dal maniaco Hideki Ishima"). Ma l'urlo iniziale di Joe Yamanaka, quello non lo dimenticherete. Nella successiva "Satori II", tra lancinanti riff orientaleggianti e una batteria rotolante e minacciosa, Joe recita una nenia che concilia l'oriente e il blues, con i versi memorabili: "There is no up or down/Death is made by the living/Pain is only intense to you/The sun shines everyday/Freedom freedom". Che sarebbe paccotiglia kitsch da stonati, se la musica non ti portasse oltre il sole, rendendo quelle parole bellissime.



domenica 7 agosto 2011

PER CONRAD SCHNITZLER (1937-2011)

Conrad Schnitzler era un outsider, anche all'interno di una scena musicale fatta di grandi eccentrici e visionari difficili da classificare, come il Krautrock. Tra tutti i grandi della musica cosmica tedesca, Schnitzler era forse il meno interessato al suono in quanto tale e inseguiva piuttosto le potenzialità di liberazione del rumore. Nato nel 1937, il suo percorso creativo nasce sotto il segno di Beuys, del quale fu allievo: per lui, arte ed espressione individuale hanno comunque una profonda vocazione politica. Nel 1967 è stato tra i fondatori, a Berlino, del Zodiak Free Arts Lab, uno degli spazi di incubazione della musica tedesca degli anni settanta.
Pur essendo per vocazione un esploratore solitario, Schnitzler "c'era" in almeno due dei momenti fondanti del genere: nel 1969 ha fatto parte della prima incarnazione dei Tangerine Dream, quella che ha registrato Electronic Meditation; nei primissimi anni settanta dei Kluster, con i due dischi Klopfzeichen e Zwei-Osterei, prima che Moebius e Roedelius mettessero la "C" al posto della "K", dando vita ai Cluster, tra i padri dell'ambient elettronica (per farla breve).
Schnitzler ha continuato rimanendo fedele alla propria vocazione sperimentale, con una produzione ricchissima e, tra edizioni limitate, Cd-R e collaborazioni, quasi impossibile da tracciare in modo preciso (in un anno ha fatto uscire 14 dischi, neanche Merzbow!) e mantenendosi su un'orbita imprevedibile, con opere piene di ronzii, rumori, esplosioni improvvise, percussioni ellettroniche, rumori industriali, segnali di cold wave, tracce di  primordiale elettronica obliqua, alla Autechre. A Conrad Schnitzler devono più di qualcosa avventure sonore come quelle degli Einstürzende Neubauten e dei Throbbing Gristle: buona parte del noise, dell'industrial e dell'elettronica sperimentale degli ultimi vent'anni viene anche dai suoi dischi.



venerdì 5 agosto 2011

LA VITA MODERNA

Ještěd Tower, 1968-73 Karel Hubáček, © Jiří Jiroutek

Perdiamo, dice Reynolds, la capacità di immaginare il futuro. Aggiungerei: c'è una difficoltà a mettere in moto i componenti del presente per immaginarli in una configurazione diversa e chiedersi cosa vorrebbe dire vivere all'interno di questa nuova configurazione. Facciamo fatica a immaginarci in situazioni diverse da quelle che già rientrano nel nostro orizzonte di possibilità attuale. E, in generale, se è vero che siamo spesso alle prese con il culto dell'attimo fuggente,  ridotto a fruizione superficiale del presente, c'è in effetti poco interesse per il potenziale di cambiamento presente nell'attualità, per l'idea che qualcosa possa accadere in un certo momento e  innescare il cambiamento futuro.
Reynolds, nei capitoli conclusivi del suo libro, affronta direttamente il tema del modernismo (e dei periodici boom modernisti) e riflette proprio sulla sensazione di vivere in un presente svuotato di senso del possibile, cioè della prospettiva di vivere in un futuro non riassorbibile nelle coordinate ordinarie dell'esistenza. Pare quasi incredibile, dal punto di vista della contemporaneità, ma è esistito un tempo in cui le potenzialità di cambiamento contenute nel futuro sono sembrate praticamente illimitate. Quando, nel dopoguerra, la spinta alla radicalizzazione estetica e all'innovazione continua tipiche delle avanguardie storiche si è associata alla necessità di pensare un mondo nuovo, capace di lasciarsi alle spalle le rovine della guerra, quello che è avvenuto è stato un progressivo momento di infiltrazione delle idee moderniste nei discorsi ufficiali delle ideologie dominanti. Nomi come quello di Le Corbusier o di Buckminster Fuller erano i simboli della voglia di costruire città e abitazioni che fossero all'altezza di questo sogno di rifondazione radicale. Le unità di abitazione di Le Corbusier, le gigantesche e fantascienfiche cupole geodesiche di Buckminster Fuller, gli spazi architettonici comuni dell'architetttura sovietica, le vertiginose torri radiofoniche e televisive (presenti dappertutto, da Londra a Berlino alla Polonia), ma anche le sperimentazioni elettroniche di Varese e Xenakis o le ricerche di Berio o Stockhauesn erano i segni di questo sconcertante matrimonio tra progettazione e rivoluzione, tra tecnologia e spazi umani, tra vita nelle città e sogni cosmici.

 Le Corbusier, Plan Voisin per il centro di Parigi

Uno degli edifici più incredibili mai costruiti è stata senza dubbio la spettacolare e inquietante torre per le telecomunicazioni del monte Ještěd, nell'allora Cecoslovacchia. Progettata da Karel Hubáček e costruita tra il 1968 e il 1973 aveva la parte superiore fatta interamente in fibre di vetro per consentire una trasmissione perfetta del segnale e spazi interni abitabili – dal sanatorio per burocrati all'hotel di lusso – che riflettevano uno stile che evoca immagini sconcertanti: un salotto lounge spaziale progettato dal bauhaus e inserito nel ponte di comando di un'astronave sovietica, che si può immaginare abitato dai fantasmi di spie e scienziati atomici. Perfetta combinazione tra ammonimento monumentale sull'onnipresenza eterea del potere e immagine di una società in cui tecnologia e comfort potevano stare insieme: un futuro mai realizzato, ben racchiuso dal design ultramodernista della torre. Che poi molte di queste costruzioni, quando effettivamente realizzate, siano state innalzate a emblemi della disumanizzazione, è un altro sintomo interessante della distanza che ci separa da un'epoca in cui, tra la corsa alla luna e i frigoriferi per tutti, il futuro era un panorama radioso e ottimista.
Non è un caso che il dopoguerra sia anche stato il momento del boom della futurologia, con libri e disegni che immaginavano macchine volanti, case automatizzate, villaggi vacanza su Marte e  viaggi spaziali fatti per portare il consumismo o il comunismo su pianeti lontani. Eppure, in contemporanea, ci sono stati anche Ballard e Dick, Kubrick e Tarkovskij. E con loro l'idea che il futuro possa sempre andare a finire molto male e che il viaggio senza fine sia quello nello spazio interno, pieno di allucinazioni e frammenti di identità mutanti.
E la prima volta che ho visto una fotografia della torre di Ještěd la sensazione è stata proprio quella di trovarsi di fronte a un oggetto alieno, non di questo mondo, un monolite piantato nella neve e puntato verso il cosmo.

giovedì 4 agosto 2011

RETROMANIA. NATO IL BLOG UFFICIALE!



ISBN edizioni ha appena lanciato il blog Retromania, dedicato al nuovo libro di Simon Reynolds, che verrà pubblicato in Italia il 15 settembre. Il blog sarà una buona occasione per ripercorrere gli universi musicali raccontati dal critico inglese nei suoi altri libri (il Post-Punk, le contaminazioni tra suoni bianchi e suoni neri raccontate in Hip-Hop rock, l'elettronica, il continuum hardcore che attraversa come una corrente sotterranea la musica inglese degli ultimi quindici anni) e per seguire alcune delle molte traiettorie tracciate in Retromania. Non solo Reynolds, però, dato che il blog vorrebbe anche proporsi come spazio di raccolta e accumulo di materiali e contributi sulla cultura musicale dagli anni settanta in avanti (ogni tanto anche il signor Hulot contribuirà...). Una specie di mega-archivio di video, recensioni, interviste, monografie, contributi, link. Una mappa per (dis)orientarsi nella musica di oggi e di ieri. E forse di domani.