mercoledì 7 settembre 2011

RIPETIZIONI 3: IL BREAK MUTANTE

A partire dai due post sul tema (qui e qui), si possono distinguere due forme di ripetizione che forse aiutano a sciogliere alcuni dei nodi di Retromania. Propongo di fare una distinzione tra

  • Una riproduzione del passato, che si basa su criteri mimetici e parte dalla constatazione che un determinato modo di far musica ormai fa parte di un vocabolario sonoro acquisito e accettato, disponibile a tutti. È la ripetizione passiva, ormai alla portata di chiunque grazie all'immenso archivio sonoro a disposizione dell'ascoltatore e all'accessibilità di programmi che permettono di manipolare il suono. Rappresenta l'atteggiamento più propriamente retromaniaco e nostalgico. Può produrre buona musica, ma difficilmente produrrà nuovi suoni.
  • Una ripetizione della novità dell'evento, cioè la riconnessione con la parte di evento che non è stata completamente attualizzata e che può insistere, sotto forma di ulteriore novità, sul nostro presente. È la ripetizione creativa, che cerca di ritrovare la spinta alla novità del suono di partenza per farlo entrare in risonanza con contesti e territori musicali inediti. Il rapporto con il passato esiste, ma non ha nulla di nostalgico. Quelli che escono dal filtro della mutazione non sono copie o parodie postmoderne, ma nuovi organismi costruiti anche (ma non solo) con componenti di organismi del passato. Un passato che non ha ancora finito di lanciare i suoi segnali verso il futuro.

Faccio un esempio molto rapido: il break ritmico "inventato" da James Brown e dai suoi musicisti negli anni sessanta diventa in seguito il centro di propulsione della musica funky, grazie a musicisti come Sly Stone e George Clinton. Il funky ben presto si afferma come un vocabolario dominante, perdendo la sua forza di innovazione sonora e riducendosi a semplice codice di riproduzione stilistica. Il break di batteria allora migra, come un virus che diffonda il proprio frammento di codice mutante, entrando in altri organismi e facendoli ulteriormente mutare. Và a costituire l'ossatura ritmica di buona parte dell'hip-hop, sulla quale gli MC recitano le loro rime (come in Fight the Power dei Public Enemy, che contiene proprio un sample del break di batteria di Funky Drummer di James Brown, suonato da Clyde Stubblefield).
Se già con l'hip-hop il break cominciava a perdere la dimensione ipersessuata che aveva in James Brown per diventare strumento di rabbiosa rivendicazione politica, poco a poco si trasforma in una scheggia sonora autonoma e incattivita. Ecco allora nei primi anni novanta il breakbeat, la parte campionata e riassemblata che costituisce l'ossatura ritmica e la novità sonora della jungle. La frenesia e la frammentazione del ritmo fanno da specchio a una musica sempre più oscura. E ancora, gli stessi breakbeat - entrando negli anni zero - vengono rallentati e ulteriormente decostruiti, trasformando l'iperattività adrenalinica della jungle nella narcosi ritmica e nelle griglie di beat irregolari del dubstep. Da qui partono ulteriori linee di evoluzione, come nei pezzi di Zomby, in cui gli ultrabassi dubstep incontrano la musica da videogame e la techno, ricapitolando due decenni di musica da rave.
La storia continua...









2 commenti:

  1. è anche interessante notare che grazie i sampler i gruppi hip hop suonavano con il batterista di James Brown, e dopo quella che è stata una rivoluzione senza precedenti i batteristi hanno dovuto imparare a suonare come i campionatori, meno fill e meno piatti nelle ritmiche, per esempio.

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  2. Verissimo, al punto che ci sono musicisti che oggi suonano come se non fossero presenti in carne e ossa ma fossero già dei sample di qualcun altro. Due band mi colpiscono in questo senso: i Battles che suonano musica complicatissima con una precisione da macchina e i N.E.R.D. in cui Pharrell Williams, che è un manipolatore di suoni geniale, mette in campo una band in carne e ossa a fare il lavoro dei sample e dei beat elettronici.

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