venerdì 9 settembre 2011

LA CHIUSURA DEL PORTALE

© Archigram Archival Project

In prima superiore, durante una visita alla biblioteca scolastica (una biblioteca che per qualche oscura ragione non era accessibile agli studenti e che non avrei mai più rivisto fino all'ultimo anno), mi fiondai sullo schedario alla ricerca del nome di uno scrittore. Individuata la collocazione dei libri di quello scrittore, scelsi il più grosso e lo presi in prestito. Al termine di quella fugace visita, sotto gli occhi stupiti dei miei compagni di classe, stringevo sotto il braccio il corposo Meridiano di Oscar Wilde, come se fosse stata la cosa più figa del mondo. Dato che in quel periodo non ero quello che si potrebbe definire un lettore forte (di letteratura, per quanto riguarda i fumetti altra storia...), l'episodio aveva dell'incredibile. Cos'era successo? Era successo che in Cemetery Gates, contenuta nell'album degli Smiths The Queen is Dead, che a quel tempo consumavo, Morrissey cantava "Keats and Yeats are by your side, while Wilde is on mine...". Verso evocativo che mi aveva fatto pensare a quei tre come se si trattasse di custodi di saperi segreti, sorta di re magi della poesia inglese, sicuramente appassionanti da leggere e ricchi di tesori iniziatici. Purtroppo, arrivato a casa col Meridiano di Wilde in mano, presi la decisione di iniziare la lettura non dal Ritratto di Dorian Gray, che qualche anno dopo avrei scoperto e apprezzato, ma dalla luttuosissima e tragica Ballata del carcere di Reading, titolo che ancora oggi non riesco a pronunciare senza un brivido accompagnato da una sensazione di soffocamento. Fine del breve idillio con Wilde, e sarebbero passati anni prima che considerassi ancora uno status symbol tenere un libro in mano...
La musica pop e rock, anche a livello tematico, è stata a lungo un portale, un ingresso su altri mondi. Mark E. Smith dei Fall (il nome della band viene da La Caduta di Camus) che parla di Dostoevskij o dei racconti di fantasmi di Montague Rhodes James, gli Scritti Politti che intitolano una canzone Jacques Derrida. I Talking Heads che prendono il testo di I Zimbra da Hugo Ball, uno dei fondatori del Cabaret Voltaire, oppure versi come "Lode a Mishima e a Majakovskij" salmodiati da Giovanni Lindo Ferretti. E ancora, titoli come Truman Capote o Saul Bellow (rispettivamente di Künnecke & Smukal e Sufjan Stevens). Un nome o un riferimento in una canzone potevano scatenare una curiosità, spingere a una lettura. Far venir voglia di...
Si parlava del mondo esterno, di quello che accadeva fuori della musica, anche quando si parlava di letteratura. In fondo, scopate, passioni, visioni o letture erano comunque temi della vita praticata (a volte) o sognata (più spesso), dell'adolescente. Oltre all'incontro (sfortunato) col Wilde della terrificante Ballata del carcere di Reading (altro brivido...) ricordo la scoperta di Lovecraft stimolata dai Metallica di The Call of Cthulhu e di The Thing That Should Not Be. Apparizioni di nomi come piccoli sogni di mondi possibili, che in un'era pre-internet erano spesso solo suggestioni vaghe, curiosità da soddisfare a scoppio ritardato, perché mancava la materia prima. Quindi c'era un rapporto con il desiderio, con la ricerca, con la mancanza da colmare.
Ora, dice Reynolds, la musica sembra parlare soprattutto di se stessa, attraverso la ricerca di suoni in grado di evocare sapori passati, con il ricorso a un lessico caratterizzato temporalmente, ad abiti vintage, a immagini e immaginari legati a un certo periodo della storia della musica pop. Si decide di suonare in un modo ben preciso, ed ecco centinaia di weird folkers, neo kraut, riattivatori del verbo sabbathiano attraverso lo stoner, integralisti del thrash metal (ma non hanno mai suonato così bene, al tempo, quei dischi), scopiazzatori devoti della linea Stones-Stooges, cultori di musichette da programma di utilità pubblica inglese, riattivatori di Punk Funk (vedi Franz Ferdinand) e molti altri esempi. Basta guardarsi attorno e ascoltare. Si costruisce il proprio essere musicisti con abiti trovati in giro, smessi da altri. E qui sta il punto, dice Reynolds: un tempo, il rock parlava dell'esperienza del teenager, mentre oggi la musica sembra parlare soprattutto di altra musica. Dal commento dell'esperienza vissuta al commento del commento, in una sorta di deriva talmudica, in cui tutto sembra essere una questione di note a piè di pagina di un testo che è già stato scritto. In un certo senso, è come se il portale su altri mondi si fosse chiuso e la musica si proponesse come l'unico mondo possibile.







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