mercoledì 8 giugno 2011
ASPETTANDO RETROMANIA: SU UN ARTICOLO DI S.R.
Qualche considerazione sull'articolo di Simon Reynolds "Excess all areas", uscito sul numero di Wire di giugno (sorta di sequel del suo nuovo libro, Retromania, appena uscito in Inghilterra e che sto aspettando). Come sempre stimolante, lontano da banalità, in alcuni passaggi illuminante. Il tema è quello, ormai fin troppo discusso, della trasformazione generata dalla digitalizzazione della musica. Cosa succede della musica, quando è ridotta a bit? Reynolds parla, in modo anche vagamente ironico, dalla soglia di una nuova era, identificandosi con gli abitanti del vecchio mondo, quello della cultura analogica, ma cercando di guardare avanti, di scrutare il continente appena scoperto, o meglio, il continente scoperto ormai da almeno una quindicina di anni, che rimane però ancora in buon parte inesplorato.
Alcuni paragoni interessanti: rivoluzione digitale come replica della rivoluzione industriale. Ci sono ovviamente i pro e i contro di entrambe, ma la caratteristica che le accomuna è la loro capacità di introdurre una sorta di catastrofe nel modo di rapportarsi e di percepire il mondo (ad esempio distruzione dell'ambiente e diverso rapporto col tempo introdotto dalla rivoluzione industriale, ma anche merci a prezzo più basso). Poi, c'è la questione della temporalità. Il tempo della cultura analogica è un tempo fatto di attese, anticipazioni, rinvii, ritardi, e poi di eventi (l'evento è qualcosa di atteso, avviene sempre dopo, viene preparato). Attendere l'uscita di un nuovo disco, sapere che c'è e non poterlo ancora acquistare, dovere fare una scelta in termini di priorità di acquisto, desiderare un disco raro o non più in commercio. Assaporare l'opera guardando prima la copertina. Desiderare qualcosa dopo averne letto una recensione. Doversi spostare fisicamente per andare a cercare il disco introvabile nella propria città. Sono esperienze che chi ha meno di venticinque anni probabilmente considera remote come l'idea di essere emozionati per poter mangiare il dolce solo a natale o comunque in certi giorni speciali, esperienza che già la generazione dei baby boomers non conosceva più.
image © Viktor Timofeev
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