giovedì 7 luglio 2011
L'ORA DEL POP
Reynolds parla della nowness del pop, il rapporto tra cultura pop e tempo presente. Si potrebbe tradurre con attualità, con "orità" o "adessità". In poche parole, a lungo il pop è stato inseparabile dalla sua capacità di mettersi in relazione con la propria epoca e di contribuire a definirla. Difficile pensare a un racconto sugli anni sessanta o sui movimenti di protesta in america o sull'edonismo degli anni ottanta senza pensare ai Beatles, a Bob Dylan o, poniamo, ai Duran Duran. Ora, lo strano effetto è quello di una cultura pop che sembra fluttuare attraverso il tempo, senza connettersi in modo diretto al senso dell'"Adesso". La nowness del pop, intesa come sua qualità primaria, corre attraverso un tunnel temporale. Essere pop, oggi, vuol dire riprendere il carattere iconico di Madonna (Lady Gaga), suonare come nella New York della fine degli anni settanta (Strokes), riattivare il garage blues (White Stripes), rispolverare il pop di coppia degli anni sessanta (le innumerevoli configurazioni del tipo duo lei-lui, da She & Him a Cat's Eyes). Persino riprendere il testimone di Crosby Stills Nash &Young e della West Coast (Fleet Foxes) o di oscure esplorazioni della tradizione folk (Devendra Banhart o Joanna Newsom). Non si tratta di semplici pastiche da parte di artisti che saltano da un genere all'altro in una sorta di deriva postmoderna che corre attraverso una miriade di temporalità musicali. Abbiamo davanti agli occhi delle fissazioni su determinate epoche passate del pop, piccole nevrosi in forma di canzone. Retromania è in fondo un viaggio in questa strana temporalità a due strati: sempre uno strato passato che appare sotto l'attuale, producendo una percezione sfalsata, leggermente spaesante. Da qui l'idea che mi rimane con più forza, leggendo il libro: che ci sia una sorta di storia sotterranea del pop, fatta di affioramenti e cancellazioni, diversa da quella – più rettilinea – che siamo abituati a sentirci raccontare.
image © Viktor Timofeev
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